Confronti: Woodstock vs. Altamont. Due concerti evento e i film che li hanno documentati

woodstockGli anni Sessanta, sono gli anni di John Fitzgerald Kennedy e del Vietnam, gli anni dei diritti civili e dello sbarco sulla Luna.

Sono anni di grandi cambiamenti sociali, accompagnati da una musica che vede lo sviluppo del pop e del rock, generi consacrati – proprio in quel decennio – da alcuni dei più grandi e famosi concerti del Novecento.

Se il Monterey Pop Festival del 1967 vide lo sboccio della controcultura hippy e l’avvio della Summer of Love, sono invece due concerti del 1969 a decretare, rispettivamente, il momento più alto dell’una e la morte dell’altra. 

Stiamo parlando, ovviamente, del concerto di Woodstock dell’agosto 1969 e dell’Altamont Free Concert del dicembre dello stesso anno, resi immortali da due film imprescindibili nella storia del documentario musicale.

woodstock-locandinaPartiamo da Woodstock, quello che è innegabilmente il più celebre concerto rock/folk del Novecento, con oltre quattrocentomila giovani che si riversarono per le strade e le campagne di Bethel (Woodstock era in realtà la città più vicina, ma non il luogo esatto dove si svolse la manifestazione) per tre giorni di pace, amore e musica.

Proprio così recita il titolo italiano della pellicola di Michael Wadleigh, che documenta le fasi salienti dell’evento. Il film appoggia, fin dal suo incipit, il clima di contestazione delle controculture, con l’immagine del visto censura R (ossia film vietato ai minori di 17 anni non accompagnati da un adulto) che prende provocatoriamente fuoco.

Il documentario inizia ricostruendo le fasi preparatorie della manifestazione, con la location che viene letteralmente invasa dai giovani e dalle loro auto, che bloccano il traffico e occupano i verdi prati dello Stato di New York.

Il continuo ricorso allo split screen permette agli addetti al montaggio di coniugare due visioni contemporanee degli avvenimenti, dando dinamicità e senso di realismo alle immagini.

Da una parte le interviste agli abitanti del posto, magari non entusiasti del caos, ma sicuramente contenti delle opportunità (perché no, anche commerciali) derivanti da un simile avvenimento.

Dall’altra le immagini del flusso di auto e di persone e quelle del concerto, con frequenti riprese aeree che danno contezza delle proporzioni dell’evento.

Da una parte le interviste ai partecipanti, che affrontano temi quali il sesso, le droghe, la condizione dei giovani.

Dall’altra, lezioni collettive di yoga e gare di scivolate nel fango, ma anche le code dei ragazzi ai telefoni pubblici per chiamare i genitori a casa.

Woodstock è stato questo e molto di più.

I bagni collettivi nei laghetti. Il naturismo. L’amore libero consumato nei campi abitualmente solcati dai trattori dei contadini.

Ma Woodstock è stato soprattutto grandissima musica.

Quella occasionalmente prodotta dal pubblico sbattendo all’unisono lattine e altri oggetti.

E quella delle star del rock / folk / soul invitate a cantare per l’occasione.

Il primo è Richie Havens, che batte il piede a terra seguendo il ritmo indiavolato della sua chitarra ed esce con la maglietta sudata come quella di un maratoneta dopo avere improvvisato Freedom.

jimi-woodstock-768x445L’ultimo è Jimi Hendrix, che chiude la tre giorni con alcuni pezzi indimenticabili, tra cui l’inno americano suonato con la chitarra elettrica, con inserti sonori che richiamano i bombardamenti in Vietnam.

In mezzo, tra i tanti, Joan Baez al sesto mese di gravidanza; un Joe Cocker che aveva chiaramente dato fondo alla sua scorta annuale di stupefacenti e che si cimenta in una cover di With A Little Help From My Friend semplicemente eccezionale, al termine della quale pure il cielo si scomoda in un fragoroso applauso, scatenando un temporale che non viene risparmiato dal montaggio.

C’è l’inno alle nuove generazioni di John Sebastian, che consente al regista di inserire alcune toccanti immagini dei bambini presenti al Festival.

Ci sono l’appello contro la guerra in Vietnam di Country Joe McDonald e la strepitosa performance dei Santana in Soul Sacrifice.

E poi gli Who, i Jefferson Airplane, Janis Joplin e molti altri ancora.

Nel montaggio finale è stato peraltro escluso qualche nome eccellente come i Grateful Dead e i Creedence Clearwater Revival.

Sulle note di Jimi Hendrix – che volendo esibirsi per ultimo finì per farlo la mattina del lunedì, quando in molti se ne erano ormai già andati – scorrono le immagini del riassetto dell’area da parte di qualche zelante volontario.

Almeno una parte del merito del successo di questo evento (o per meglio dire della memoria che a tutt’oggi se ne conserva) va proprio al film di Wadleigh, che vinse l’Oscar come miglior documentario.

La versione estesa dura oltre tre ore e mezza, circa mezz’ora in più della versione originale proiettata nei cinema, ma vale assolutamente la pena recuperarla.

Woodstock è una pellicola di puro montaggio, come tutte quelle di taglio documentaristico. All’editing parteciparono, oltre allo stesso regista, un giovane Martin Scorsese (che aveva fino a quel momento diretto soltanto un film) e Thelma Schoonmaker che diventerà una stabile collaboratrice di Scorsese. Un montaggio eccellente e innovativo, con la difficile opera di selezione tra l’immensa mole di girato, che valse la nomination agli Oscar nella relativa categoria.

gimme-shelterQuattro mesi dopo Woodstock si tenne, dall’altra parte degli Stati Uniti, sulla costa occidentale, l’Altamont Free Concert, un maxi-concerto gratuito proposto dagli organizzatori della tournée statunitense dei Rolling Stones, ma a cui non parteciperanno solo questi ultimi.

Se Woodstock era stato il momento più alto della cultura hippy, Altamont si trasformerà nella pagina nera del rock & roll, immortalata da un documentario dei fratelli Maysles (con Charlotte Zwerin): Gimme Shelter.

Ma andiamo con ordine.

Il concerto, che doveva tenersi a San Francisco, viene spostato all’ultimo al Raceway Park di Altamont a qualche decina di chilometri di distanza.

Il servizio d’ordine viene sciaguratamente affidato agli Hells Angels California (si dice a fronte di un compenso di 500 dollari in birre) che arrivano rombando con le moto in mezzo al pubblico e per tutta la sera si ubriacano e non perdono occasione per menare (non solo il pubblico, ma anche alcuni cantanti) e spaccare stecche da biliardo in testa alla gente.

E pensare che solo qualche mese prima Easy Rider aveva avuto un successo planetario proponendo la storia dei due bikers buoni e pacifisti (a parte i peccatucci relativi allo spaccio e al consumo di stupefacenti).

Gente che le prendeva più che darle.

L’escalation di tafferugli ad Altamont culmina nell’omicidio di Meredith Hunter, un giovane di colore che aveva tentato di raggiungere il palco su cui si stavano esibendo gli Stones, salvo poi, dopo essere stato respinto da un Hells Angel, ripresentarsi armato di revolver.

Fu allora che un altro biker si avventò su di lui accoltellandolo a morte.

Gimme Shelter racconta questi fatidici momenti di violenza, da alcuni ritenuti simbolicamente la fine di un’epoca, quella degli hippy, quella del Peace and Love.

L’episodio chiude idealmente gli anni Sessanta nel peggiore dei modi, proprio dalle parti di quella San Francisco che soltanto due anni prima aveva visto sbocciare la Summer of Love.

Nella prima parte – quella meno interessante – il film mostra il concerto degli Stones al Madison Square Garden di New York, intervallato da alcuni dietro le quinte in cui il gruppo inglese registra brani in studio o assiste sbigottito alle notizie fornite in radio dopo Altamont (un intreccio temporalmente ingarbugliato che inizialmente confonde un po’ le idee).

Verso la metà il film decolla, dapprima con l’organizzazione (anche logistica) dell’evento, poi con le immagini dell’afflusso del pubblico allo Speedway di Altamont (300.000 spettatori).

Le scene hippy, ormai entrate nell’immaginario collettivo (amore libero, nudismo, pusher che offrono hashish o LSD), vengono subito insabbiate dall’escalation di violenza cui si assiste, in particolare, durante due delle canzoni interpretate dagli Stones: Sympathy for the Devil (contro cui si scaglieranno i media e che Mick Jagger & co. non suoneranno più per anni) e Under My Thumb, il brano al termine del quale viene ucciso Hunter, con la telecamera puntata sul pubblico che riprende in diretta il misfatto.altamont

Il documentario è anche abbastanza significativo nell’attestare gli effetti delle droghe sulle persone: sempre durante Under My Thumb un ragazzo sul palco si esibisce in un profluvio di smorfie e boccacce, una sorta di Urlo di Munch da trip.

Se il film su Woodstock era stato un momento fondamentale nell’apprendistato cinematografico di Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker, quello su Altamont vedrà invece al lavoro – in qualità di operatore – il futuro ideatore e regista di Star Wars George Lucas, originario della vicina Modesto.

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Woodstock (1970, USA, 184/216 min)

Gimme Shelter (1970, USA, 91 min)

4 pensieri riguardo “Confronti: Woodstock vs. Altamont. Due concerti evento e i film che li hanno documentati

  1. Altamont è stato la pietra tombale sugli anni 60 e sui sogni che si portava dietro. La paura che si legge sui volti degli spauriti stones (costretti a fuggire con un elicottero) è reale, così come l’incubo che questo concerto crea, totalmente differente come atmosfera a woodstock, dove tutto funzionó. Per fortuna aggiungo.

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