Tra le correnti cinematografiche più innovative e affascinanti del Novecento un posto di primo piano ha sicuramente quella che è stata battezzata New Hollywood.
Ma che cos’è la New Hollywood?
Di seguito un piccolo “bignami” che cerca di spiegarlo sinteticamente, ma esaustivamente, rimandando a tutta una serie di film, alcuni dei quali raggiungibili da questa pagina tramite appositi link.
CHE COS’E’ LA NEW HOLLYWOOD: UNA BREVE INTRODUZIONE (ovvero una sintesi, per chi vuole sapere giusto l’essenziale)
Con il termine New Hollywood si indica quel fenomeno di rinnovamento del cinema americano – il più importante dai tempi dell’introduzione del sonoro – che va dalla seconda metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta e che comportò il superamento di una crisi profonda del cinema statunitense grazie alla formazione di una nuova generazione di cineasti, portatori di nuove idee, che finiranno per dominare il panorama cinematografico hollywoodiano per i decenni a seguire.
I PERCHE’ DELLA CRISI DEL CINEMA CLASSICO
I motivi della crisi del cinema classico americano, tra gli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta, furono molteplici:
– il costante calo di pubblico ai botteghini (iniziato a partire dal ’47) dovuto all’avvento e allo sviluppo della televisione, che spinse alcune delle major dell’età dell’oro (le Big Five: RKO, Paramount, MGM, 20th Century Pictures e Warner Bros) e delle mini-major (le Little Three: Columbia, Universal, United Artists) a dedicarsi ad altri settori, in particolare quello televisivo (caso eclatante fu quello della RKO, la casa di produzione di King Kong e di Quarto Potere, che cessò completamente la produzione di film sul finire degli anni Cinquanta); non andava certamente meglio alle sale indipendenti: tra il 1947 e la metà degli anni Cinquanta ne chiusero a migliaia;
– il successo del cinema d’autore europeo, nonché di quei cineasti del Vecchio Continente che avevano saputo intrufolarsi, portando nuove idee, nei generi che da sempre erano prerogativa del cinema statunitense (l’esempio emblematico è quello dello Spaghetti Western);
– il fallimento della concezione pomposa e monumentale che spesso caratterizzava il cinema classico (con budget che andavano incrementandosi vertiginosamente, nonostante il calo degli incassi). Emblematico (in quanto da molti considerato il simbolo della crisi del cinema classico hollywoodiano) è il caso di Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz (1963): il punto più alto del kitsch a stelle e strisce, un film che quasi mandò in fallimento niente meno che la 20th Century Fox, con costi incrementati di oltre venti volte rispetto alle previsioni e che furono recuperati soltanto dopo svariati anni (quando Hollywood puntava al recupero della spesa entro massimo due mesi).
DALLA CRISI ALLA NEW HOLLYWOOD
Durante il periodo di crisi, si fecero spazio i piccoli produttori indipendenti, con film a basso budget destinati principalmente ai giovani, l’unica fascia di pubblico che continuava a frequentare in massa le sale. Vi fu così un’inflazione di film horror, di fantascienza o musicali (legati al fenomeno del momento, il rock and roll). Uno dei registi clou di quell’epoca (il periodo 1955-1970) è Roger Corman, con la sua elefantiaca produzione di b-movie, principalmente di genere fantascientifico o horror (tratti da racconti di Edgar Allan Poe).
Sebbene la svolta della New Hollywood sia stata per certi versi graduale, vengono generalmente identificate due pellicole del 1967 a cui si fa risalire la nascita del fenomeno:
GANGSTER STORY, di Arthur Penn
IL LAUREATO, di Mike Nichols
Si tratta, in entrambi i casi, di film per certi aspetti ancora legati al cinema classico, ma che rappresentano simbolicamente una svolta, una rottura rispetto al passato: sia da un punto di vista tecnico-stilistico, sia per l’aspetto contenutistico, nonché per l’infrazione di tabù tradizionalistici, come quello della rappresentazione cruda della violenza.
Tutti aspetti che in altri Paesi – soprattutto in Europa – erano tutt’altro che nuovi: la rottura degli schemi tradizionalistici si era già vista in Francia con la Nouvelle Vague. Per quanto riguarda invece la violenza, i western all’italiana di Sergio Leone avevano fatto scuola.
Negli Stati Uniti la resistenza alle innovazioni fu più forte, anche a causa della presenza del famigerato Codice Hays, il codice di autocensura che le case di produzione si erano autoimposte fin dagli anni Trenta per evitare di incappare nelle più stringenti censure federali. Un Codice che venne ufficialmente abbandonato soltanto nel 1966-67, ancorché negli anni precedenti alcuni registi avessero provato a farvi breccia con metodi ingegnosi.
Altri commentatori fanno risalire l’inizio della New Hollywood ad un altro importantissimo film, di due anni successivo ai due sopra citati, che rappresentò una vera rivoluzione culturale:
EASY RIDER, di Dennis Hopper (1969)
Si può dire, senza timore di smentita, che tutti e tre questi film hanno avuto grandi meriti nell’aver dato il via a qualcosa di assolutamente nuovo nel panorama cinematografico americano.
Altrettanto vero è che sono rintracciabili alcuni film “ponte” tra vecchia e nuova Hollywood; pellicole che per le persone coinvolte (ad esempio lo stesso Corman) o per il modo in cui i temi venivano affrontati, non potevano essere pienamente ascritte alla nuova corrente, ma nemmeno relegate al vecchio modo di fare cinema:
CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF, di Mike Nichols (1966), che contribuì al superamento del Codice Hays tramite il linguaggio sboccato dei protagonisti;
I SELVAGGI, di Roger Corman (1966), un biker movie anticipatore di Easy Rider, il quale però va ricompreso nella più evoluta categoria dei road movie, che rappresentava di fatto un’evoluzione del biker movie;
UN UOMO A NUDO, di Frank Perry (1968), un vero e proprio spiazzante mix di vecchia e nuova Hollywood;
BUTCH CASSIDY, di George Roy Hill (1969) e UCCIDERO’ WILLIE KID, di Abraham Polonsky (1969), due western che si avvicinano ai film di genere della New Hollywood, pur senza rispecchiarne in pieno le caratteristiche;
IL CLAN DEI BARKER, di Roger Corman (1970), debitore di Gangster Story e dunque potenzialmente arruolabile nella corrente, ma che scontava il fatto di essere un film directed by Roger Corman.
NUOVI REGISTI, NUOVI ATTORI
Con la New Hollywood si formerà una nuova generazione di registi, che aveva fatto di tutto per entrare nel mondo del cinema e che avrà la possibilità di dare il proprio contributo per il definitivo superamento dei canoni del cinema classico:
– da coloro che si erano formati nella scuola di Roger Corman, ossia, tra gli altri, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Peter Bogdanovich;
– a quelli che avevano frequentato scuole di cinema: George Lucas, Steven Spielberg (oltre agli stessi Scorsese e Coppola);
– dai registi che si erano formati nel mondo del cinema indipendente: Brian De Palma;
– fino a quelli di estrazione televisiva, formatisi dirigendo le fiction per il piccolo schermo: Sydney Pollack, Sam Peckinpah, Robert Altman.
Questi ultimi, in particolare, vennero fin da subito apprezzati dai produttori per la loro attitudine all’economia e alla velocità delle riprese, nonché all’efficienza organizzativa, tipiche dei lavori per la televisione e che comportava grandi risparmi sui costi.
Con la Nuova Hollywood il regista diventa sempre più un autore (come avveniva in Europa) e in certi casi fa anche il produttore, da solo o in associazione con altri registi (come nel caso della Directors’ Company di William Friedkin, Francis Ford Coppola e Peter Bogdanovich, o la American Zoetrope dello stesso Coppola e George Lucas).
Dopo il clamoroso successo di Easy Rider, film low budget che aveva guadagnato una montagna di soldi, le case di produzione decidono di cambiare politica, finanziando chi dimostrava di avere buone idee e lasciando loro una pressoché totale libertà d’azione. Emblematico fu il caso della Universal, che destinò un milione di dollari ciascuno a cinque registi, nella speranza che emulassero il successo del film di Hopper: tra di essi vi furono Peter Bogdanovich e Douglas Trumbull, che girarono, rispettivamente,
L’ULTIMO SPETTACOLO (1971)
2002: LA SECONDA ODISSEA (1972)
Non mancarono, tra i nuovi registi-autori, alcuni grandi nomi della vecchia Hollywood. Si avvicinarono a tale corrente soprattutto quei cineasti che avevano da tempo l’etichetta di ribelli e che erano pronti ad abbracciare la ventata di freschezza portata dalle nuove generazioni: John Huston, Don Siegel, Dalton Trumbo su tutti.
Il ricambio generazionale tra i registi è anche l’occasione per l’esordio di una nuova generazione di attori, che domineranno la scena hollywoodiana della seconda metà del Novecento: Robert De Niro, Al Pacino, Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Gene Hackman, quelli più significativi.
Controversa è la collocazione all’interno della New Hollywood di un regista come Woody Allen, il quale, sebbene in quel periodo raggiunse il suo apice artistico e sebbene per certi versi aveva tratti (stilistici e contenutistici) in comune con il movimento, mantenne sempre una connotazione sui generis.
Stesso discorso vale per un autore come Stanley Kubrick, americano di nascita ma presto trasferitosi in Inghilterra, anche proprio per evadere dagli schemi hollywoodiani. Kubrick fu un grandissimo innovatore tra fine anni Sessanta e inizio anni Settanta (rispettivamente, con 2001: Odissea nello Spazio e Arancia Meccanica); tuttavia la assoluta originalità stilistica del Maestro newyorkese non permette di incasellarlo in alcuna corrente cinematografica.
I giovani registi della New Hollywood ebbero quasi tutti un periodo iniziale in cui diressero film non ascrivibili alla nuova corrente, per vari motivi:
– perché si trattava di pellicole (principalmente b-movie) con cui completavano la loro gavetta (alla corte di Corman in particolare):
TERRORE ALLA TREDICESIMA ORA, di Francis Ford Coppola (1963),
VOYAGE TO THE PLANET OF PREHISTORIC WOMEN, di Peter Bogdanovich (1968)
AMERICA 1929 – STERMINATELI SENZA PIETA’, di Martin Scorsese (1972)
– perché si trattava di lavori su commissione, accettati soprattutto per esigenze finanziarie:
SULLE ALI DELL’ARCOBALENO, di Francis Ford Coppola (1968)
CONTO ALLA ROVESCIA, di Robert Altman (1968)
– o ancora perché si trattava di film sperimentali, spesso girati in occasione del completamento degli studi di cinema:
OGGI SPOSI, di Brian De Palma (1963-1969)
BUTTATI BERNARDO!, di Francis Ford Coppola (1967)
MURDER A LA MOD, di Brian De Palma (1968)
CHI STA BUSSANDO ALLA MIA PORTA, di Martin Scorsese (1969)
DIONISIO NEL ’69, di Brian De Palma (1970)
IL VENTAGLIO DI NOVITA’
La Nuova Hollywood portò ampie novità nell’ambito dei temi trattati, con l’infrazione di vari tabù del cinema classico, sia in senso stretto (come detto, nel 1966-67 era stato definitivamente superato il certificato censorio, il famigerato Codice Hays), sia in senso strutturale (la regola della continuità temporale, quella della linearità dell’intreccio).

Il collegamento con l’attualità e con i temi sociali si risolve nel fatto che i film sfuggono raramente alla regola dell’ambientazione hic et nunc (con l’eccezione delle pellicole del filone nostalgico e dei western).
Sempre meno happy ending, sempre più film che dopo uno stallo interminabile esplodono violentemente nel finale.
LE NOVITA’ CONTENUTISTICHE
Le principali novità contenutistiche riguardarono:
– la rappresentazione della solitudine, dell’inquietudine e del disagio giovanile, spesso attraverso l’utilizzo della metafora della strada; oltre ai già citati Il laureato e Easy Rider, alcuni film significativi in tal senso sono:
CINQUE PEZZI FACILI, di Bob Rafelson (1970)
PUNTO ZERO, di Richard C. Sarafian (1971)
STRADA A DOPPIA CORSIA, di Monte Hellman (1972)
LA RABBIA GIOVANE, di Terrence Malick (1973)
OUT OF THE BLUE, di Dennis Hopper (1980)
– la protesta per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam, la renitenza alla leva, la contestazione universitaria, lo sviluppo delle controculture; tutti quei temi, in sostanza, di diretta derivazione della stagione del ’68; oltre al già citato Easy Rider:
CIAO AMERICA!, di Brian De Palma (1968)
ALICE’S RESTAURANT, di Arthur Penn (1969)
AMERICA, AMERICA, DOVE VAI?, di Haskell Wexler (1969)
FRAGOLE E SANGUE, di Stuart Hagmann (1970)
HI, MOM!, di Brian De Palma (1970)
L’IMPOSSIBILITA’ DI ESSERE NORMALE, di Richard Rush (1970)
R.P.M. RIVOLUZIONE PER MINUTO, di Stanley Kramer (1970)
YELLOW 33, di Jack Nicholson (1971)
– un nuovo approccio al lato intimista e la rappresentazione esplicita di tematiche sessuali controverse; oltre al già citato Il laureato:
UN UOMO DA MARCIAPIEDE, di John Schlesinger (1969)
BOB & CAROL & TED & ALICE, di Paul Mazursky (1969)
CONOSCENZA CARNALE, di Mike Nichols (1971)
HAROLD E MAUDE, di Hal Ashby (1971)
– la riflessione critica sulla guerra, in particolar modo su quella in Vietnam (dapprima in modo indiretto – ossia parlando di altre guerre ma riferendosi in realtà al Vietnam – poi in modo esplicito):
M*A*S*H, di Robert Altman (1970)
COMMA 22, di Mike Nichols (1970)
IL CACCIATORE, di Michael Cimino (1978)
VITTORIE PERDUTE, di Ted Post (1978)
APOCALYPSE NOW, di Francis Ford Coppola (1979)
– il pessimismo verso le istituzioni, che diventa vera e propria paranoia politica (e mania di persecuzione), generata dalle inquietanti e drammatiche vicende degli anni Sessanta (su tutte, gli assassinii dei fratelli Kennedy); oltre al già citato Ciao America!:
BERSAGLI, di Peter Bogdanovich (1968)
AZIONE ESECUTIVA, di David Miller (1973)
PERCHÉ UN ASSASSINIO, di Alan J. Pakula (1974)
LA CONVERSAZIONE, di Francis Ford Coppola (1974)
I TRE GIORNI DEL CONDOR, di Sydney Pollack (1975)
KILLER ELITE, di Sam Peckinpah (1975)
TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE, di Alan J. Pakula (1976)
BLOW OUT, di Brian De Palma (1981)
– la rielaborazione nostalgica del passato (uno dei temi che dimostra come i nuovi autori fossero sì alla ricerca di novità, ma contemporaneamente rispettosi dell’eredità del passato); oltre al già citato L’ultimo spettacolo:
MA PAPÀ TI MANDA SOLA?, di Peter Bogdanovich (1972)
AMERICAN GRAFFITI, di George Lucas (1973)
PAPER MOON – LUNA DI CARTA, di Peter Bogdanovich (1973)
VECCHIA AMERICA, di Peter Bogdanovich (1976)
– la violenza, rappresentata con crudezza e senza censure; oltre al già citato Gangster Story:
IL MUCCHIO SELVAGGIO, di Sam Peckinpah (1969)
CANE DI PAGLIA, di Sam Peckinpah (1971)
UN TRANQUILLO WEEK-END DI PAURA, di John Boorman (1972)
LE DUE SORELLE, di Brian De Palma (1973)
TAXI DRIVER, di Martin Scorsese (1976)
– il tema del loser, ossia la caratterizzazione dei protagonisti come perdenti, come degli anti-eroi; oltre al già citato Un uomo da marciapiede:
NON TORNO A CASA STASERA, di Francis Ford Coppola (1969)
NON SI UCCIDONO COSÌ ANCHE I CAVALLI?, di Sydney Pollack (1969)
ANCHE GLI UCCELLI UCCIDONO, di Robert Altman (1970)
IL RE DEI GIARDINI DI MARVIN, di Bob Rafelson (1971)
CITTÀ AMARA – FAT CITY, di John Huston (1972)
PER 100 CHILI DI DROGA, di Bill L. Norton (1972)
LO SPAVENTAPASSERI, di Jerry Schatzberg (1973)
L’ULTIMA CORVE’, di Hal Ashby (1973)
CALIFORNIA POKER, di Robert Altman (1974)
VOGLIO LA TESTA DI GARCIA, di Sam Peckinpah (1974)
TORO SCATENATO, di Martin Scorsese (1980)
– si puntano i riflettori sui bassifondi delle metropoli e sul disagio urbano; oltre al già citato Taxi Driver:
PANICO A NEEDLE PARK, di Jerry Schatzberg (1971)
MEAN STREETS, di Martin Scorsese (1972)
QUEL POMERIGGIO DI UN GIORNO DA CANI, di Sidney Lumet (1975)
LE NOVITA’ NEI GENERI
Si riscontrano anche delle grandi novità nell’approccio ai generi cinematografici. In particolare, alcuni dei generi tradizionali vengono sottoposti a importanti revisioni o comunque a modifiche sostanziali:
– nei western, l’attenzione si sposta sulle ragioni degli indiani d’America, spesso visti soltanto come i villain di turno nei film dell’età classica:
UN UOMO CHIAMATO CAVALLO, di Elliot Silverstein (1970)
SOLDATO BLU, di Ralph Nelson (1970)
IL PICCOLO GRANDE UOMO, di Arthur Penn (1970)
CORVO ROSSO NON AVRAI IL MIO SCALPO, di Sydney Pollack (1972)
BUFFALO BILL E GLI INDIANI, di Robert Altman (1976)
– i film polizieschi sono caratterizzati da un maggior realismo:
IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE, di William Friedkin (1971)
ISPETTORE CALLAGHAN: IL CASO “SCORPIO” È TUO!!, di Don Siegel (1971)
SERPICO, di Sidney Lumet (1973)
– il road movie (un genere che esplode proprio con la New Hollywood ed in particolare con Easy Rider) viene utilizzato per affrontare la questione del disagio generazionale (si vedano in particolare i già citati Punto zero e Strada a doppia corsia), ma anche per approfondire temi sociali o legati alla paranoia e all’angoscia esistenziale dell’individuo:
DUEL, di Steven Spielberg (1971)
SUGARLAND EXPRESS, di Steven Spielberg (1974)
CONVOY – TRINCEA D’ASFALTO, di Sam Peckinpah (1978)
– il film musicale viene rivisitato, perdendo il disincanto dei musical dell’età d’oro:
IL FANTASMA DEL PALCOSCENICO, di Brian De Palma (1974)
NASHVILLE, di Robert Altman (1975)
NEW YORK, NEW YORK, di Martin Scorsese (1977)
– la fantascienza passa dal pessimismo distopico all’esaltazione epica:
INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO, di Steven Spielberg (1977)
GUERRE STELLARI, di George Lucas (1977)
Con riferimento al genere fantascientifico, è da segnalare che secondo alcuni commentatori fanno parte della New Hollywood anche quegli stessi film di vecchia impostazione (fantascienza distopica) ma prodotti a partire dalla fine degli anni Sessanta. Tra i tanti:
L’UOMO CHE FUGGÌ DAL FUTURO, di George Lucas (1971)
2022: I SOPRAVVISSUTI, di Richard Fleischer (1973)
Da rilevare, infine, come scompaia quasi del tutto la commedia, pur con qualche rilevante eccezione:
PICCOLI OMICIDI, di Alan Arkin (1971)
TAKING OFF, di Milos Forman (1971)
Un autore che ricorse diffusamente alla commedia (agli inizi della sua carriera e prima della decisa e notoria virata verso il genere thriller che lo contraddistinguerà) fu Brian De Palma, con i già citati CIAO AMERICA! e HI, MOM!, nonché con:
IMPARA A CONOSCERE IL TUO CONIGLIO (1972)
HOME MOVIES – VIZIETTI FAMILIARI (1980)
LE NOVITA’ TECNICO-STILISTICHE
Le novità tecniche, invece, sono molto variegate e basate sullo stile dei diversi registi.
Intanto occorre premettere che sebbene i film della New Hollywood siano generalmente delle produzioni a basso costo, non mancano pellicole dai budget più elevati, nei quali i registi che avevano avuto successo venivano messi in condizione di avere mezzi più sostanziosi per le proprie sperimentazioni (anche se ciò significava generalmente un più incisivo controllo da parte dei produttori, in quanto i film ad alto budget erano solitamente finanziati dalle majors).
È difficile, in ogni caso, fare un sunto delle principali novità tecniche se non richiamando in generale la ventata di anarchia rispetto ai dettami assai rigorosi del cinema classico hollywoodiano (divieto di sguardo in macchina, regole dei 30 e dei 180 gradi).
Tra le tecniche di ripresa più in uso in quegli anni si rileva il frequente ricorso alla macchina da presa a mano, l’utilizzo del teleobiettivo in contesti urbani (per restituire una sensazione di oppressione e soffocamento), la fotografia sgranata (spesso per ragioni di risparmio sui costi) e dalle tinte insature, in contrasto ai colori sgargianti delle pellicole dell’età classica.

Si torna a girare all’aperto, per strada, dopo anni di registrazione in studio dei kolossal e di dispendiose ricostruzioni di set monumentali.
C’è da sottolineare che se da un lato le innovazioni vi furono – questo è fuor di dubbio – difficilmente si arrivò a degli strappi netti rispetto ad una tradizione che i nuovi autori comunque rispettavano.
LE NOVITA’ RIGUARDANTI LA MUSICA
Altra novità assai importante riguarda il rapporto, sempre più stretto, che i nuovi film avranno con la musica: se Il laureato inaugura tale tendenza con una indimenticabile colonna sonora pop-folk firmata Simon & Garfunkel, gli risponderà a stretto giro Easy Rider con un memorabile accompagnamento rock. Alcuni film utilizzeranno espedienti interessanti per proporre lunghe playlist (i disc-jockey che seguono le vicende dei citati Punto zero e American Graffiti).

Senza dimenticare i film documentario di carattere musicale, che arrivano, sul finire degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, a descrivere la nascita e il declino delle controculture. Se DONT LOOK BACK e EAT THE DOCUMENT (i film che avevano raccontato le tournée inglesi di Bob Dylan del ’65-’66) hanno ancora un carattere di proto-documentario musicale, ascrivibili alla New Hollywood sono invece le due pellicole che immortalarono due tra i più grandi concerti di quel periodo:
WOODSTOCK – TRE GIORNI DI PACE, AMORE E MUSICA, di Michael Wadleigh (1970)
GIMME SHELTER, di Albert e David Maysles (1970)
Il documentario musicale verrà ripreso dopo la metà degli anni Settanta – con ulteriori innovazioni stilistiche – da un autore che nella sua carriera si dedicherà in varie occasioni a pellicole di questo genere:
L’ULTIMO VALZER, di Martin Scorsese (1978)
L’APICE E LA CRISI
Il capolavoro della New Hollywood è generalmente identificato in un film di Francis Ford Coppola che per certi versi è abbastanza sui generis e tradizionalista (anche perché prodotto da una major), e che ebbe un sequel – diretto dallo stesso regista – di pari se non superiore intensità:
IL PADRINO (1972), seguito da
IL PADRINO – PARTE II (1974)
Dalla metà degli anni Settanta (con qualche avvisaglia che era giunta già prima) alcuni film degli autori della New Hollywood cominciano ad avere un enorme successo ai botteghini:
L’ESORCISTA, di William Friedkin (1973)
LO SQUALO, di Steven Spielberg (1975)
oltre al già citato Guerre stellari.
Il grande successo registrato da questi film sarà paradossalmente una concausa della conclusione dell’esperienza della Nuova Hollywood: essa aveva infatti esaurito la propria funzione primaria, quella di portare novità e freschezza ad un cinema in crisi. Da allora, i produttori torneranno alla carica proponendo blockbuster spettacolari e monumentali.
Così come agli inizi la New Hollywood si sviluppò in modo graduale (pur identificando simbolicamente la sua nascita nei due/tre film iconici sopra citati), anche per la sua conclusione il processo fu in egual modo graduale, lasciando tuttavia spazio ad un lungometraggio emblematicamente considerato come la chiusura “ufficiale” di quell’esperienza:
I CANCELLI DEL CIELO, di Michael Cimino (1980)
La pellicola, oggi rivalutata, fu allora un flop colossale, facendo tramontare la promettente stella di Cimino, ma soprattutto portando al collasso la United Artists, fondata sessant’anni prima da Chaplin e D.W. Griffith. Da quel momento i produttori riacquisirono il potere perduto negli anni a favore dei registi, ai quali negarono il final cut.
Il cerchio si era chiuso. Hollywood era tornata alla sua natura originaria. Ma era anche profondamente cambiata.
Lavoro monumentale: davvero complimenti!
Mi dà anche qualche spunto, per esempio spiega perché negli anni Sessanta c’è stata la corsa a copiare i giapponesi, per riproporre in patria – senza crediti – storie di grande spessore che riportassero la gente al cinema. E l’arrivo della “violenza” fu aiutata dal fatto che agli inizi dei Sessanta l’Europa scoprì le arti marziali giapponesi, che poi al cinema gli agenti segreti hanno portato in modo parecchio sconclusionato, da Bond a Flint ad Helm. Un colpo a mani nude era considerato fino a poco tempo prima altamente volgare, non degno di un protagonista buono, ma la passione per judo e karate trasformava un gesto negativo in uno fichissimo.
Grazie per il “bignami”: è un’iniziativa lodevole che tornerò a spulciare 😉
Grazie a te… sì è un lavoretto che avevo fatto da tempo e che era arrivato il momento di condividere…
per il resto ti do ragione: nella storia del cinema difficilmente c’è qualcosa fuori posto o non spiegabile con un’analisi approfondita del contesto… difficile che i temi o gli stili o le tecniche andassero totalmente controcorrente o fossero completamente fuori contesto (storico-sociale-cinematografico)…
torna pure perché man mano che recensiremo i film citati metterò i collegamenti e poi farò degli approfondimenti dell’approfondimento suddivisi per registi/generi, ecc.
ciao!
Mi è molto caro il tema dei giustizieri, di cui Callaghan è giusto la punta dell’iceberg. Però in effetti è un fenomeno nato nei romanzi e sviluppato nella narrativa di genere (e, contemporaneamente, nei fumetti col personaggio del Punisher). Al cinema, ad esclusione appunto di Callaghan o dello sceriffo Pusser del ciclo “Walking Tall”, non credo abbia avuto grande risalto.
Se ci pensi, lo spaghetti western imparò dagli americani a copiare dai giapponesi (penso a “Per un pugno di dollari”) ma poi trovò un suo stile, non più scopiazzando ma lasciandosi ispirare. Penso alla nascita troppo sottovalutata del “kung fu western”, fenomeno italiano a cui ho dedicato un ebook 😛 Diciamo che niente nasce dal nulla, è tutto un fiume di contaminazioni…
Bravo! Ottimo articolo, strutturato, documentato, con una chiara sequenza logica e temporale, lungo ma per nulla tedioso, anzi: molto avvincente.
grazie! sì la difficoltà quando si scrivono post così lunghi è sempre quella di mantenere l’attenzione alta… in questo caso mi sono affidato ad una struttura schematica e farò poi gli approfondimenti degli approfondimenti in altri post futuri..
grazie, ciao
Bellissimo post, anche molto utile per chi vuole orientarsi, almno in linea di massima. Aspettiamo, allora gli approfondimenti. Ciao.
Grazie! Sì l’avevo iniziato proprio con quella finalità, per non perdere il filo nel mare magnum dei film di quel periodo… poi mi son fatto prendere la mano 😀
Molto interessante! Aspettiamoci gli approfondimenti 🙂
Aspettiamo (non aspettiamoci, dannato correttore)…
Grazie! Sì non mancherò di sviscerare questa corrente!😀
Bellissimo articolo Vincenzi, complimenti!!
Grazie!!!