Domani, 24 novembre, si aprirà il sipario sul Torino Film Festival. Noi de L’ultimo Spettacolo saremo presenti e non mancheremo di dedicare un paio di post alla rassegna piemontese, giunta alla sua 35esima edizione. Quest’anno il TFF ospiterà, per la prima volta in Italia, una retrospettiva dedicata al regista italo-americano Brian De Palma, di cui verranno proposti tutti i lungometraggi e alcuni corti e videoclip. Se è vero che De Palma è principalmente noto al grande pubblico per i film che hanno avuto maggior successo commerciale (tra i tanti, Scarface, Gli intoccabili, Mission: Impossible), meritevoli di attenzione sono anche e soprattutto le sue opere giovanili. In esse il regista di Newark seppe esprimere al meglio la sua verve stilistica e creativa, prima di una svolta che lo porterà ad abbracciare, in un primo momento, i film di genere horror-thriller (sulla scia di una sua dichiarata ispirazione ad Alfred Hitchcock), poi pellicole più mainstream, come quelle citate. Ecco perché oggi, nell’ambito della rubrica Lo scrigno, con la quale presentiamo film dimenticati o poco conosciuti, vi parleremo di una di tali opere giovanili, forse quella più interessante da un punto di vista stilistico e che segna peraltro l’esordio in un ruolo da protagonista di un certo Robert De Niro.
Ciao America narra le vicende di tre ragazzi nella New York del ’68, che vivono alla giornata nell’attesa della chiamata per il Vietnam. Jon è un aspirante regista con la mania delle donne che si spogliano davanti alla finestra. Paul è ossessionato dalle teorie del complotto sull’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Lloyd sta cercando una partner tramite “appuntamenti elettronici”, anche se è pronto a fingersi omosessuale davanti alla commissione militare che deve giudicare sulla sua chiamata alle armi.
Greetings è uno dei primissimi lungometraggi di Brian De Palma, girato con un budget irrisorio e in pochi giorni, quasi alla stregua di un filmino amatoriale. Eppure il suo effetto è stilisticamente dirompente, un incontro tra cinema americano e Nouvelle Vague.
Il film è di un eclettismo impressionante, una pellicola che ha tutta l’incoscienza della gioventù e che è significativa delle esperienze che quelli della nuova generazione andavano accumulando per portare allo sboccio della New Hollywood.
Il coraggioso incipit in stile documentaristico è dedicato alla guerra nel Vietnam, argomento che – come si può ben immaginare – nel 1968 non era per nulla facile trattare in un’opera cinematografica. Basti pensare che ancora nel 1970 si faranno film che criticheranno il conflitto indocinese in modo indiretto, ambientando le vicende nella guerra di Corea (M*A*S*H, di Robert Altman) piuttosto che durante la seconda guerra mondiale (Comma 22, di Mike Nichols).
In Greetings, invece, De Palma non solo esordisce parlando esplicitamente del Vietnam, con un’ironia che non sarà sicuramente piaciuta nelle stanze dei bottoni, ma addirittura ci mostra subito il bel faccione di Lyndon Johnson, in uno dei suoi sermoni televisivi al popolo americano. È chiaro che finché una tale audacia rimaneva confinata in un’opera di nicchia, ai limiti dell’amatoriale, non era un grosso problema per i potenti di turno. Eppure De Palma si dimostra coraggioso nello sbeffeggiare l’establishment.
Lo stile assolutamente sui generis di Ciao America si fa notare fin dai titoli di testa, con la camera a mano che segue uno dei protagonisti mentre cammina per le strade di New York. Inquadratura traballante (peraltro con una pellicola di scarsa qualità) e musiche che sono palesemente un tarocco dei Beatles (Greetings! delle meteore Children of Paradise).
Siamo ancora indecisi se considerarlo un curioso esperimento amatoriale o un momento rivoluzionario per il cinema americano (ma col senno di poi è sin troppo facile), quando ecco che iniziano a comparire sullo schermo dei cartelli simili a quelli del cinema muto.
Ma non è ancora nulla: nella scena immediatamente successiva, girata all’interno di un negozio di vestiti, ci viene proposto un montaggio alla Godard, caleidoscopico e volutamente confuso, che fa davvero venire il mal di mare.
Le regole del cinema classico vengono gettate alle ortiche, e non sono passati nemmeno dieci minuti dall’inizio della pellicola.
De Palma ha voluto chiaramente omaggiare l’innovativo cinema europeo, quello della Nouvelle Vague e quello d’autore italiano: oltre alle scene di evidente ispirazione godardiana, ci sono infatti un paio di citazioni dedicate a Truffaut (viene sfogliato il suo libro intervista a Hitchcock, pubblicato soltanto due anni prima) e ad Antonioni, con il suo rivoluzionario Blow Up.
Ma non è finita qui: scene in fast forward; sguardo in macchina di uno dei tre protagonisti mentre spiega le teorie del complotto sulla morte di J.F.K. (ancora Godard).
Non che tutto si riduca ad una scopiazzatura di invenzioni provenienti da oltreoceano: vi sono anche delle idee davvero originali, sia nella sceneggiatura (l’analisi balistica dell’omicidio di J.F.K. utilizzando il corpo nudo di una donna che stava cercando di dormire, ormai assuefatta alla paranoia del compagno), sia nell’utilizzo della macchina da presa (nel primo degli “appuntamenti elettronici” di Lloyd vi sono delle riquadrature apparentemente inutili – e tecnicamente sbagliate – che escludono continuamente l’uomo, probabilmente con il fine diegetico di evidenziare il frivolo egocentrismo di lei).
L’idea di De Palma del cinema come voyeurismo esce alla scoperta con il personaggio di Jon Rubin, interpretato da un Robert De Niro al suo primo ruolo da protagonista, fresco della frequentazione delle lezioni di Lee Strasberg all’Actor’s Studio. Rubin mette in scena lo spogliarello di una ragazza (usando un mascherino che simula una finestra) a cui si unisce lasciando soltanto lo spettatore (noi) dietro la macchina da presa. Nel finale la situazione si ripete: Jon, che nel frattempo è finito in Vietnam, fa fare la stessa cosa (uno spogliarello davanti ad un’immaginaria finestra) ad una vietnamita incontrata casualmente in mezzo alla boscaglia.
Tutto ciò basta e avanza per definire geniale il primo De Palma, cui mancava soltanto una sceneggiatura più lineare per trasformare in capolavoro questo film sicuramente troppo sperimentale.
Ma del resto la rottura degli schemi stava anche e soprattutto in questo, nello stravolgimento della linearità (e della banalità) del racconto tipica dell’età classica, portando un tocco di anarchica imprevedibilità.
Nonostante gli scarsi mezzi a disposizione, la pellicola non passò inosservata, vincendo l’Orso d’argento al Festival di Berlino.
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Greetings (1968, USA, 88 min)
Regia: Brian De Palma
Soggetto e Sceneggiatura: Charles Hirsch, Brian De Palma
Fotografia: Robert Fiore
Musiche: Eric Kaz
Interpreti principali: Robert De Niro (Jon Rubin), Jonathan Warden (Paul Shaw), Gerrit Graham (Lloyd Clay)
Mamma mia quanto sono indietro con la filmografia di De Palma 😦 Attendo le tue recensioni sulla rassegna torinese e nel frattempo metto Ciao America repentinamente nella lista dei to watch
eh ma alla fine il buon Brian ha diretto ben 29 film, e me ne sono accorto in questi giorni che sto predisponendo il piano di battaglia per il TFF…
quindi ci sta essere indietro, soprattutto per la parte delle opere giovanili, alcune delle quali sono veramente introvabili (penso a Dionysus o a Murder à la mod)…
Comunque sì, questo te lo consiglio, anche se bisogna prenderlo per quello che è, un film giovanile e molto sperimentale, ma, a mio avviso, geniale per molti aspetti…
Salve mi potreste dire qual è il titolo del film della foto con deniro di spalle, grazie e perdonate la mia ignoranza 😊
È quello di cui si parla in questo articolo, Ciao America!
Grazie