Ci siamo finalmente addentrati nella top ten ed ecco le prime due posizioni a cifra singola, che ci condurranno verso quelli che, secondo il nostro modesto parere in forma di voto democratico, sono stati eletti i migliori film di fantascienza di sempre. Non che questi siano da meno, dato che abbiamo a che fare con due assoluti capolavori del genere, che hanno soltanto avuto qualche punto in meno di chi li precede. Diamo quindi un’occhiata alle posizioni n. 9 e n. 8 della classifica.
Scusate, metto via un attimo il cappello dell’obiettività. Amo questo film alla follia. Fin dai primi fotogrammi parte l’amalgama perfetta: i titoli di testa minimal esaltano la strepitosa colonna sonora scritta dallo stesso John Carpenter in collaborazione con Alan Howarth, veterano del sound design e degli effetti sonori. Un refrain cupo e malinconico al synth che ha fatto storia.
Le prime scene di 1997: Fuga da New York (Escape from New York), tra il sonoro degli elicotteri, i fari nella notte, le mura bluastre e i poliziotti dall’assetto futuristico, preparano lo spettatore all’atmosfera distopica del film (alcuni fondali sono stati disegnati dal giovane James – Jim nei credits – Cameron); arriva la prima apparizione di Kurt Russell, figura illuminata con toni quasi incandescenti che staglia nell’oscurità attorno, scende dal bus blindato sotto scorta con un’aria da ceffo, barba incolta e capello lungo, benda da pirata, andatura da cow-boy e mise perfetta per un antieroe del noir fantascientifico (costumi di Stephen Loomis… un cognome che dirà qualcosa a chi conosce la filmografia di Carpenter). L’antagonista iniziale è l’immenso Lee Van Cleef, nasone a becco d’aquila e orecchino da pirata, commissario di quelli tosti.
Il cuore sussulta quando avviene il fatto che scatena il plot. Un aereo (l’Air Force One presidenziale) si schianta sullo skyline di New York; come non pensare all’11 settembre? La missione recupero di Snake Plissken viene assegnata, il suo gullfire planerà silenzioso sopra il tetto delle Twin Towers per un secondo sussulto emotivo. E siamo decisamente, pienamente, angosciosamente dentro al film.
Che atmosfera la New York distopica trasformata in un gigantesco carcere a cielo aperto! Sin dall’arrivo in un grattacielo desolato, con ombre che fuggono sullo sfondo – sottolineate con rapidi commenti sonori – per poi scendere nelle buie strade interrotte qua e là da pire incandescenti, Plissken, fucile alla mano, sgattaiola nei meandri di una devastazione reale (molte scene furono girate a St. Louis dopo che un incendio aveva devastato un intero quartiere) che farà poi da modello a Blade Runner l’anno successivo.
La grandiosa intuizione cyberpunk di fondere le maschere del vaudeville agli scenari post-apocalittici trova la massima espressione nella scena dello spettacolino al Fox Theatre (anche in questo caso si tratta di quello di St. Louis), dove incrociamo il mitico Ernest Borgnine nei panni di un tanto improbabile quanto romantico tassista in un mondo desolato e violento. Anche il lunatico Duca di New York, villain dal costume fumettistico, interpretato dall’icona soul Isaac Hayes rientra potentemente in questo immaginario, accompagnato dalla maschera grottesca (potrebbe figurare benissimo tra i replicanti di Ridley Scott) del folle Romero, l’attore Frank Doubleday.
Last but not least, la grandiosa parabola politica di Carpenter in piena guerra fredda, in un’America appena uscita dallo scandalo Nixon. Una visione “sinistra” e “di sinistra”, certo, ma se qualcuno oggi potrebbe sbeffeggiare la “profezia mancata” di una involuzione così cinica di Manhattan (e dell’America in generale) qualcun altro potrebbe sensatamente considerare che anche se non sempre ci sono rottami fumanti a dividere i quartieri, la ghettizzazione esiste e si può proporre perfino su larga scala (il muro tra USA e Messico, per dirne una). Così come la minaccia nucleare. Noi ci consoliamo con Snake (Iena in italiano) Plissken e la sua piccola vendetta, il nastro di una cassetta che si srotola nella scena finale mentre un presidente inebetito ascolta le note di un boogie, inaspettata “soluzione di tutti i conflitti”.
[ Paolo @paolodelventosoest ]
Gli anni Settanta segnarono un periodo di rinascita per il cinema horror, che grazie a pellicole come Rosemary’s Baby e La Notte dei Morti Viventi riuscì a imporsi nuovamente nel circuito cinematografico principale dimostrando una vitalità e una versatilità sorprendente, complice anche la caduta dei tabù e delle censure che avevano castrato Hollywood nella sua epoca d’oro. Soprattutto, il cinema dell’orrore iniziò ben presto a contaminare gli altri generi cinematografici, tra cui anche la fantascienza: Alien, il capolavoro di Ridley Scott del 1979, rappresenta sicuramente uno dei momenti più alti di questo processo di ibridazione tra generi, presentandosi come un monster-movie ambientato all’interno di una nave spaziale in rotta verso la Terra.
La trama di Alien è ben nota. Rispondendo a un misterioso segnale, l’equipaggio della Nostromo atterra su un piccolo pianeta, dove Kane (John Hurt) viene attaccato da un parassita alieno. Portato sull’astronave, il parassita evolve fino a diventare una creatura mostruosa e dall’istinto omicida che inizia a decimare la popolazione della Nostromo; alla fine resterà solo il tenente Ellen Ripley (Sigourney Weaver) a combattere contro l’alieno, riuscendo infine a ucciderlo scaraventandolo nelle profondità dello spazio.
Alien è il film che ha consacrato sia la carriera di Ridley Scott che quella della sua protagonista, Sigourney Weaver, destinata a diventare l’archetipo della nuova eroina cinematografica. Se da un lato è infatti innegabile l’impatto emotivo del film, che riesce a mescolare in modo eccezionale l’orrore e la suspense di un thriller sullo stile di Dieci Piccoli Indiani, dall’altro è altrettanto importante riconoscere l’importanza che Alien ha ricoperto all’interno della produzione cinematografica successiva, a partire dalla gestione della sua creatura. Per la prima volta, infatti, il mostro non si vede se non di sfuggita, riusciamo a scorgerne solo dei dettagli che emergono dall’oscurità quasi onnipresente, sostituendo il sentimento di orrore generato dalla creatura con la paura ispirata dalla sua apparente onnipresenza e misteriosità, un meccanismo che fa scuola ancora oggi, come testimonia il lavoro svolto da John Krasinski in A Quiet Place.
Nonostante i suoi pregi, tuttavia, è innegabile il fatto che Alien abbia una trama decisamente lineare e piuttosto formulaica, che ben poche sorprese riserva allo spettatore, soprattutto oggi. Allora, qual è la chiave del successo del film, che continua a conquistare fan e ammiratori ancora a quarant’anni dalla sua prima proiezione? Alien ripropone l’atavica lotta dell’eroe contro il mostro, il racconto archetipico dell’uomo che si scontra contro le forze ancora violente e misteriose di un mondo (in questo caso un universo) non ancora domato e che minaccia di distruggere una civiltà ancora traballante e terrorizzata nel chiedersi se davvero esistano i leoni negli spazi lasciati bianchi sulle mappe. Nello scontro tra Ripley e l’alieno riverberano i combattimenti tra San Giorgio e il Drago, Beowulf e Grendel, Odisseo e il ciclope, creature senzienti ma prive di sentimenti e mosse unicamente dal loro istinto distruttivo, omicida e, spesso, cannibale. Alien ci riporta nel passato remoto della nostra umanità, quegli antenati che attorno a un fuoco ascoltavano un aedo raccontare di mostri e meraviglie, rimettendoci in contatto con loro attraverso quello che Stephen King definisce il fascino eterno della favola: il mostro sarebbe stato sconfitto… o avrebbe trovato di che mangiare?
Su questo scheletro, ovviamente, Ridley Scott costruisce un racconto impeccabile e visivamente sbalorditivo, con effetti speciali artigianali che conferiscono un inquietante realismo al film; su tutti spiccano l’incredibile design della creatura, realizzato da Carlo Rambaldi su disegni di Hans Giger, e le straordinarie scenografie, sia interne che esterne, capaci ancora oggi di mozzare il fiato dello spettatore. La regia di Scott riesce a conferire al film un ritmo molto flemmatico senza risultare lento o noioso; al contrario, grazie alla sua relativa lentezza Alien riesce a dire e non dire, mostrare e nascondere senza che questa apparente contraddittorietà risulti in confusione e incertezza stilistica. Scott dimostra di avere il pieno controllo non solo della sua creatura, ma anche del suo personale percorso autoriale, introducendo già alcuni elementi che verranno poi meglio sviluppati nel suo film successivo, Blade Runner.
Per tutti questi motivi Alien è ancora vivo e vitale, grazie anche ai numerosi sequel e spin-off che ne hanno espanso la mitologia, a testimonianza del ruolo fondamentale che ancora oggi ha lo Xenomorfo all’interno del panorama contemporaneo.
[ Daniele @danieleartioli ]
___
<<< [Posizioni n. 11 e 10]
>>> [Posizioni n. 7 e 6]
No però dai, non mi puoi mettere così, uno accanto all’altro due dei miei film preferiti di sempre, cioè mettiti nei miei panni, io cosa ti commento ora? Non ti dico niente, al massimo mi viene voglia di abbracciarti. Come un Facehugger 😉 Cheers
Wow! Questo per me potrebbe benissimo essere il post delle prime due posizioni! :–)
ALIEN è un Classico con la C maiuscola.
Ed è il sogno di ogni produttore: costò poco (chissà quale compenso avranno dato all’Alieno?) e incassò più di 10 volte tanto.
Nessuno dei seguiti mi è piaciuto così. Ora mi chiedo chi ci sarà nei gradini più alti?
Ho visto da poco Alien, presto ne parlerò, e sono sempre più convinto che sia un assoluto capolavoro di fantascienza, horror e azione, praticamente di tutto 😉
Eccazzo, qua siamo ai miti assoluti. Che poi io considero 1997 più un action spaccaculi che una fantascienza vera e propria^^
Moz-
Si salva il tenente Ripley…e il gatto 😀