Sono sicuro che non te l’aspettavi. Che mai avresti pensato di trovare questo film così in alto, e, giuro, neanche io lo credevo. Magari ti sei chiesto dove fosse, spulciando la classifica dei migliori film di fantascienza senza successo e sperando che arrivasse ad aiutarti tua mamma dicendoti “scommettiamo che se vengo io lo trovo subito?!”. O forse ne eri segretamente contento, e immaginavi che fosse stato escluso dalla selezione; d’altronde si sa che ogni film ha il suo detrattore. Pura miopia, io credo. Perché cosa c’è di meglio di un rocambolesco giro sulle montagne russe mentre si attende di uscire nuovamente dall’utero materno? Ti ho confuso, eh? Bé, allora parliamone più chiaramente, và!
Dopo il successo di I Figli degli Uomini, Alfonso Cuarón decise di non allontanarsi troppo dal genere fantascientifico, ma di esplorarne un aspetto molto diverso. Dopo la speculazione distopica ambientata in una Gran Bretagna cinerea e desolata, infatti, il regista messicano ci conduce nel 2013 in orbita geostazionaria con Gravity, un gioiello di adrenalina e un’attenta riflessione sul valore della vita.
Protagonista assoluta di Gravity è Sandra Bullock, che regge interamente il film sulle sue spalle. Sulla scia di tante eroine della fantascienza, prima tra tutte la Ripley di Alien, la dottoressa Ryan Stone si scontra con forze massivamente più grandi di lei, che minacciano di annientarla in ogni momento, riuscendo a trovare il modo di vincerle e sopravvivere non tanto grazie alla fortuna quanto a una serie di abilità e conoscenze che ha guadagnato nel corso della sua vita. Sebbene non sia un’astronauta di professione, la dottoressa Stone ha ricevuto un addestramento e possiede sufficienti nozioni da mettere in pratica per affrontare le minacce dello spazio trovando la via di casa in modo molto credibile. Allo stesso tempo, l’interpretazione di Sandra Bullock riesce a stendere strati su strati intorno al suo personaggio, conferendole forza e coraggio ma al tempo stesso fragilità, paura e disperazione.
Gravity parla di una persona che deve ritrovare la propria strada, letteralmente e figurativamente. Dopo decenni di storie in cui l’uomo sogna le stelle, Ryan Stone al contrario desidera tornare sana e salva sulla Terra, trovandosi a una distanza relativamente breve dal pianeta che si rivela tuttavia quasi impossibile da raggiungere. La Terra, azzurra e invitante, appare costantemente sullo sfondo, sempre inquadrato come una promessa e uno sberleffo ai tentativi della protagonista di tornare a casa, andando contro un intero genere che ha costruito la propria fortuna sul fascino dell’universo e la curiosità dell’uomo per il mistero che esso rappresenta, l’ultima frontiera da conquistare. Sebbene nella maggior parte delle storie lo spazio appaia chiaramente come un’entità minacciosa e distruttiva, raramente si assiste a un tale accanimento nel tentare di distruggere la protagonista, che si trova a misurarsi con le forze più estreme della natura, un avversario con cui è impossibile trattare e che è impossibile sconfiggere: ci si può solo difendere, con tutti i mezzi a nostra disposizione, sapendo che il minimo passo falso può significare la morte.
Al tempo stesso, però, Gravity racconta la storia di una rinascita, individuale e collettiva. La dottoressa Stone è una donna spezzata, che ha messo in pausa la propria vita dopo l’assurda morte della figlia, un incidente veniale che le ha portato via la cosa che più amava al mondo. Il suo viaggio nello spazio funziona quasi da contrappasso, purgandola del dolore che la dilaniava per farle capire che vale sempre la pena lottare, con le unghie e con i denti, nonostante le probabilità e l’esito; perché quale che sia la fine, è un grande viaggio che va conquistato fino in fondo. Emblematica è in questo caso una delle migliori inquadrature del film, l’immagine della Stone che galleggia in posizione fetale davanti all’oblò dell’astronave dal quale si vede la Terra, ventre gravido che sta per dare alla luce una creatura nuovamente libera e purificata, cosa che avviene nel finale.
L’uscita della Stone dal lago in cui la capsula atterra ha il sapore epico di una nuova civiltà che emerge per conquistare il suo posto nel mondo, un nuovo inizio non solo per lei, ma l’intera umanità, pronta a riprendere il suo cammino consapevole dei passi falsi commessi in passato e in grado, ora, di scegliere un percorso diverso, migliore. Un percorso, magari, capace di apprezzare maggiormente la Terra, come lascia sperare un’altra bellissima immagine, quella della dottoressa che dopo essersi trascinata nel fango della riva affonda le mani nella melma sorridendo, quasi a voler abbracciare l’intero pianeta in una commovente espressione di amore incondizionato.
Tutto l’insieme è sorretto dalla solidissima regia di Cuarón, che guida con la mano ferma e precisa di un chirurgo i suoi personaggi e la macchina da presa in una serie di ambiziosi piani sequenza che si susseguono come un balletto, in un omaggio alla celebre danza delle astronavi di 2001: Odissea nello Spazio. La continuità delle inquadrature, con pochi tagli di montaggio, permette un’inedita immersività del pubblico, che ha la sensazione di trovarsi assieme ai protagonisti, di sperimentare l’assenza di gravità e di volteggiare nello spazio insieme a loro. Man mano che il film procede, poi, questa immersione si trasforma paradossalmente in claustrofobia; le riprese senza stacchi non concedono alcun sollievo, alcuna pausa allo spettatore, il quale si sente quasi intrappolato nello scorrere della pellicola senza alcuna possibilità di fuga o distensione.
Gravity è un nuovo caposaldo della cinematografia fantascientifica, con una serie di inquadrature destinate a restare scolpite nella memoria collettiva. A questo punto solo una cosa mi turba: sono passati cinque anni dalla sua uscita, Cuarón, che fine hai fatto? Dove sei? Stai bene? No, perché qui se ne vorrebbe ancora. Di qualsiasi cosa, non necessariamente di fantascienza così ambiziosa. Un filmino. Anche piccolino. Però faccelo, eh? Grazie.
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<<< [Posizione n. 5]
>>> [Posizione n. 3]
Avevo stilato nella testa un’ipotetica top 4… questo quarto posto mi ha spiazzato, e sto pensando a quale dei miei 4 film ipotizzati sarà esclusi! Fatto sta che è una sorpresa graditissima! Gravity è un filmone per i motivi ben espressi nella descrizione. Aggiungo una nota di merito alla regia di Cuaron: dovessi citare un film in cui l’operazione 3D ha avuto realmente un senso, la risposta sarebbe Gravity, solo e soltanto Gravity!
Kalos
Assolutamente, anzi mi dispiace veramente essermelo perso al cinema; mannaggia la mia mancanza di lungimiranza, sul maxi schermo deve essere stato un’esperienza!
Cosa avevi messo in quarta posizione? Ricordati poi di farci sapere il tuo podio!
Avrei scommesso ci fosse E.T., ma a questo punto penso non faccia parte della triade. Il mio podio personale probabilmente è esattamente uguale al vostro, perciò prima di rivelarlo aspetto il vostro finale di chart 😀
Kalos
che film, questo film l’ho visto due volte:la prima e l’ultima
troppo ansiogeno e claustrofobico(so che è ossimorico per il film come aggettivo xD)
È ossimorico però calzante: alla fine è un film che ti fa davvero sentire in trappola, per cui non è cosí sbagliato definirlo claustrofobico.
A me ha fatto un po’ ride a dir la verità… pieno di assurdità… no, non ci siamo…
https://www.filmtv.it/film/48415/gravity/recensioni/728714/#rfr:film-48415
In realtà Cuarón ha sempre ammesso di aver trattato la fisica nel film in maniera molto elastica, adattandola a quelle che erano le sue esigenze narrative; è una cosa che succede normalmente. Riguardo le critiche mosse dalla recensione che hai linkato, sono cose che non diminuiscono ai miei occhi il valore del film: c’è sempre un grado di finzione in tutte le cose, e non mi ha dato fastidio.
Stavolta non sono d’accordo, perché se anche l’ho valutato con un 7, in confronto ad altri simili non regge..
http://pietrosabaworld.blogspot.com/2016/02/gravity-fast-furious-7.html