Quando si pensa alle opere del filone crime della New Hollywood vengono subito in mente due capisaldi come Dirty Harry (Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!) e French Connection (Il braccio violento della legge), entrambi del 1971. Due film arcinoti, ma usciti (anche in Italia) qualche mese dopo il Klute di Alan J. Pakula, il cui titolo in italiano sembra richiamare proprio il film con Eastwood, non fosse che ciò è cronologicamente impossibile. Se i film di Siegel e Friedkin abbracciano in maniera più decisa il sottogenere del poliziesco, introducendo peraltro novità interessanti nella definizione dello stesso, il Klute di Pakula è invece un noir a tutto tondo, che scava nella tradizione dell’hard-boiled americano, a sua volta destrutturando un genere che negli anni Quaranta e Cinquanta era stato ampiamente codificato. Il detective Klute di Pakula, interpretato da un dimesso ma efficace Donald Sutherland, è ingenuo quasi ai limiti del commovente. È un perdente a trecentosessanta gradi, non ha nulla della baldanzosa autoironia che connotava molti dei detective del noir classico, à la Humphrey Bogart, per intenderci (anch’essi sostanzialmente dei disillusi, ma comunque brillanti e sagaci).
La storia è quella dell’ex ispettore di polizia John Klute, divenuto detective privato, che viene incaricato da un industriale di nome Peter Cable di indagare sulla scomparsa di Tom Gruneman, suo socio d’affari. Klute si mette sulle tracce di una squillo di New York, Bree Daniels, a cui Tom aveva scritto alcune lettere compromettenti poco prima della sua scomparsa. Klute si trova così catapultato in un mondo, quello della prostituzione newyorkese, in cui si sentirà inizialmente spaesato e a disagio, salvo poi prendere in pugno la situazione una volta che questa degenera con l’assassinio di due colleghe di Bree.
Pakula è un maestro del cinema della paranoia, tanto che questa sua pellicola è generalmente considerata la prima di una trilogia proprio ad essa dedicata (una trilogia che proseguirà con Perché un assassinio? e si concluderà con quello che è considerato il capolavoro del regista, Tutti gli uomini del presidente). La paranoia descritta da Pakula è quella che caratterizzava la società americana di fine anni Sessanta – inizio anni Settanta, a chiusura di un decennio che aveva visto il crollo di ogni illusione collettiva a seguito delle uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King.
Inserire l’ambito paranoico all’interno di un noir può sembrare un’operazione semplice, almeno col senno di poi: la verità è che il regista newyorkese compie un lavoro di fino, insistendo -visivamente e narrativamente- su aspetti quali quello del controllo (simboleggiato dalle registrazioni di nastri, ben tre anni prima di un film come La conversazione) e, soprattutto, quello delle ossessioni e delle perversioni sessuali che rendono l’uomo schiavo di se stesso.
Al resto ci pensa l’eccezionale fotografia di un Gordon Willis ispiratissimo, che si affida a tonalità cupissime e a chiaroscuri retroilluminati (come quello, straordinario, del finale) costruendo un’atmosfera semplicemente perfetta, in cui Pakula può muoversi come meglio crede. Un lavoro eccellente da parte di un direttore della fotografia che agli inizi della sua carriera già mostra uno stile decisamente peculiare, che lo porterà ad essere definito il principe delle tenebre (the Prince of Darkness), diventando un collaboratore inseparabile di Woody Allen, amante di quelle atmosfere. L’anno dopo Klute, non a caso, Willis verrà scelto per curare le lenti di un film come Il padrino, ove compirà un altro capolavoro artistico.
Nella parte di Bree Daniels Jane Fonda si prende la scena spadroneggiando con la sua sensualità e il suo carisma tutto al femminile, portandosi a casa un meritatissimo Oscar per la miglior attrice protagonista.
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Klute (1971, USA, 114 min)
Regia: Alan J. Pakula
Soggetto e Sceneggiatura: Andy Lewis, Dave Lewis
Fotografia: Gordon Willis
Musiche: Michael Small
Interpreti principali: Donald Sutherland (John Klute), Jane Fonda (Bree Daniels), Charles Cioffi (Peter Cable), Roy Scheider (Frank Ligourin), Dorothy Tristan (Arlyn Page)
Ogni tanto lo rivedo. Gran film.
Questo mi manca. Il tuo post mi ha invogliato a colmare questa mia lacuna. Spero di recuperarlo a breve.
è l’obiettivo della rubrica Lo scrigno, quindi quando riusciamo ad invogliare qualcuno a recuperare questi film pressoché dimenticati vuol dire che abbiamo fatto centro… 😉
grazie!
Gran bel film, e i due protagonisti così affascinanti
L’ho visto (almeno questo). Mi è molto piaciuto, poi devo dire che apprezzo Donald assai.