contemporary stuff: Mektoub, My Love: Canto Uno, di Abdellatif Kechiche

Porta Palazzo incontra San Salvario. Questa la capisce solo chi è di Torino, per cui mettiamola così: movida maghreb. Dopo un incipit a qualche inquadratura dal porno, ecco servite tre ore di sbevazzate, feste in spiaggia, parliamo-del-più-e-del-meno con la cumpa e cose così.

Zio di qua, zia di là, tutti a chiamarsi zii, ma sono veri nipoti, mica i tamarri delle case popolari. E baci e bacetti in continuazione.

È tutto un bere e un baciarsi l’ultimo film di Abdellatif Kechiche, tre ore di amarcord primi anni novanta in una comunità franco-tunisina di Sète, cittadina francese dell’Occitania, lido di Montpellier.

Protagonista è il giovane Amin, uno che a vent’anni guarda Arsenale di Dovzenko per passare il tempo, quando intorno ha decine di ragazze eccessivamente disinibite, che basterebbe schioccare le dita. [Che poi a vent’anni ero così anch’io, o quasi.]

Amir sta meglio in mezzo alle pecore (scena del parto dei due agnellini da Discovery Channel) che in mezzo alla gnocca.

E finisce perciò che gli zii di cui sopra, intraprendenti lumaconi con tanto di bava alla bocca (da buoni lumaconi), fanno a gara per fregare le giovincelle ai propri nipoti, Amir in testa.

Tutti flirtano in questo film, tranne Amir, attraente e giovane secchione che accompagna in albergo la modella russa parlando di cinema e letteratura (nel film non si vede, lo raccontano, ma c’è da crederci che sia andata così).

E poi rifiuta le avance dell’amica russa della modella russa.

E poi rifiuta praticamente ogni occasione che gli capita e durante le seratone a base di frivolezza e alcool a fiumi è l’unico che si aggira in disco trasudando disagio (pur nascosto dietro un perenne sorriso da paresi).

Ophélie, con le sue curve generose, è l’altra protagonista. La bella Ophélie, belle comme la neige (cit. Rimbaud), fedifraga in pectore. Ma chissene, siamo giovani e lui sta sulla portaerei mentre con quello sciupafemmine schizzato di Tony (che essendo francese si pronuncia –tonì-) si bomba così bene.

Ma non ditelo alle zie pettegole. Che peraltro sanno già tutto.

E Ophélie e Amin sono ovviamente amiconi.

È più o meno così che fila questo Mektoub, My Love: Canto Uno, che è anche il titolo originale, in questa accozzaglia di lingue in cui l’arabo Mektoub sta per destino. E la cosa interessante è che è anche estremamente piacevole, nonostante la si tiri effettivamente un po’ per le lunghe e nonostante quegli eccessi di effusioni e disinvoltura.

Mektoub è un inno alla vita su letto di cous cous, è una fotografia della joie de vivre e della spigliatezza della Francia cosmopolita, che oggi ha i gilet gialli e la jihad che colpisce ogni tre per due (la Francia integrata vs. la Francia disintegrata), ma che in quegli spensierati anni Novanta se la godeva eccome. Ah! se se la godeva…

Tutti tranne Amin, che a lui sta bene così.

E sul finale aperto partono le note di San Francisco di Scott McKenzie. Canzone che non c’entra un tubo, forse messa lì perché piace a Kechiche. Piace anche a me, sia chiaro. Ma a sto punto si potevano mettere anche le Variazioni Goldberg o Rimmel e l’effetto era lo stesso.

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Mektoub, My Love: Canto Uno (2017, Francia / Italia, 180 min)

Regia: Abdellatif Kechiche

Soggetto: François Bégaudeau

Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix

Fotografia: Marco Graziaplena

Interpreti principali: Shaïn Boumedine (Amin), Ophélie Bau (Ophélie), Salim Kechiouche (Tony)

8 pensieri riguardo “contemporary stuff: Mektoub, My Love: Canto Uno, di Abdellatif Kechiche

  1. E’ possibile che l’abbia captato con il mio radar ma che l’abbia perso a causa della mia solita mancanza di lungimiranza. Mi hai fatto venire voglia di recuperarlo, però, quindi mi sa che lo cercherò al più presto.
    Ps. il fatto che specifici “Canto Uno” lascia intendere che avrà un seguito?

    1. guarda, sinceramente spero di no, nonostante mi sia piaciuto…
      non vedo cosa si possa aggiungere ad una storia che è così bella “stand alone”…
      da quello che ho capito sarà il primo film di una trilogia, che però penso e spero che cambi interpreti e in generale il soggetto…

  2. Anche «La Vie d’Adèle» uscì con il corollario «Chapitres 1 & 2», e questo faceva presumere capitoli 3 & 4 [visto che non c’erano corrispondenze con i capitoli del romanzo grafico su cui si basava]… dopo 6 anni, ancora i presunti non si sono visti… — questa dei sottotitoli, secondo me, Kechiche ce la mette, più che per collegare i suoi film in una sorta di “commedia umana”, per pura eccentricità (come spesso è la sua “regia”)…

      1. Ahahaahah, niente niente: tra l’altro lo conosco anche pochissimo! Lo vedo, però, molto “sopravvalutato”… ma, ripeto, lo conosco pochissimo! il mio è quasi un odioso pregiudizio!

  3. Devo assolutamente recuperarlo! Piccola nota sul tuo commento finale: quanto è vero, certi registi si innamorano di un pezzo e ce lo mettono così, a estro. Se ci pensi è accaduto spesso nel cinema, a volte producendo un effetto spettacolare; il caso più eclatante per quanto mi riguarda è i Cranberries in Hong Kong Express, totalmente e completamente fuori contesto, eppure magnetismo allo stato puro

    1. sì è vero… penso anche a Jonas Carpignano e al suo A Ciambra, con la canzone Faded nel finale che ha dichiarato di aver inserito perché quando scriveva la sceneggiatura la davano sempre alla radio… eppure ci sta benissimo, pur non c’entrando molto…

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