PAGELLA
Managing del rigor mortis: ****
tensione assassina: *****
Lars che si autocompiace: **
Versatilità del seno femminile: *** (questa la si capisce guardando il film)
L’ultima volta che avevo visto un film di Lars (l’ottimo Lars, l’emotivamente equilibratissimo Lars) si trattava di Nymphomaniac. Quattro stramaledettissime ore in overdose di scene di sesso, violenza ricercata, musica classica, pianoforte, regia vontrierana, narratore prolisso e compagnia bella. Rigorosamente director’s cut, rigorosamente volume uno e volume 2 uno dopo l’altro. Bello? Difficile a dirsi. È come quando qualcuno su Facebook pubblica una bella foto scattata tra le macerie in Siria: non capisci se mettendo il like stai dicendo che ti piacciono le macerie, o chi le ha create, o la foto in sé, e dopotutto, le macerie belliche si possono definire artisticamente belle in qualche contesto? Lars direbbe di sì, temo. Tu, nel dubbio, non metti like ma commenti: “foto bellissima, ma quanta crudeltà”.
Ecco, il sentimento Larsiano è più o meno sempre questo: “Bellissimo, ma ho patito come un cane a guardarlo”.
Le cose non cambiano per La Casa di Jack, storia di un serial killer psicopatico che narra di 5 delle sue principali opere d’arte omicide. Lo schema è molto simile a quello di Nymphomaniac, per via della sindrome “squadra che vince non si cambia” che ogni tanto piglia anche al miglior regista dopo un successone. Quindi, ecco: narratore, uditore e consigliere(qui è Bruno Ganz nella sua ultima performance), musica classica, filmati random documentaristici, violenza all’ennesima potenza e un drammatico, franoso sviluppo dell’io del protagonista, che nel perseguire la sua missione artistica (là attraverso il sesso, qui l’omicidio) semina paura e delirio e si fa abbondantemente male.

Jack, l’assassino psicopatico, è un campione di empatia. È una caratteristica che non ha innata ma è bravissimo ad “impararla”, perché essere empatico lo aiuta: non gli è necessario in quanto essere umano ma è fondamentale in quanto assassino. Jack è, però, quello che in criminologia e profiling viene definito “killer disorganizzato”, per cui per quanto si eserciti per eccellere nella caccia alla vittima, non agisce secondo un metodo ripetuto allo stesso modo ogni volta e commette errori. Il suo essere compulsivo lo porta a sbagliare e più Jack sbaglia e s’incasina, più noi ridiamo per poi sentirci stupidi come le sue vittime, perché Lars ci ha fregato ancora: ci ha costretto a provare empatia e simpatia per uno che sviscera le donne da vive. Lars ci ha costretto a essere come lui e, per l’ennesima volta, come per tutti gli altri suoi film , siamo i suoi topi da laboratorio: “Riuscirò a fargli provare le emozioni estreme che io voglio che provino, esattamente quelle e non altre?”

Alla fine delle due ore e mezza (attenzione: non la versione originale, quella per i veri topi di laboratorio, ma quella che i cinema italiani accettano di distribuire) sei svuotato e scioccato. Come da copione larsiano, ca va sans dire. Questo, oltretutto, è un Von Trier tutto giocato sulla tensione: vedi uno psicopatico capace di qualsiasi cosa che ti racconta dei suoi omicidi e con lui appaiono donne inspiegabilmente sciocche che si gettano inconsapevoli giù per la spirale dei suoi inganni. Sì, le ucciderà, lo sai dall’inizio, e sai che lui te lo farà vedere. Te lo farà attendere. La paura è orribile, ma la paura che aspetti di provare…è bloccante.
C’è però qualcosa che al metodico Lars, stavolta, scappa di mano. Il tempo è passato, per la critica è un artista, è un uomo famoso: si è innamorato di se stesso e gli viene voglia di dirtelo. Così, finisce per autocitarsi. Una, due, tre volte. Alla fine ti propina carrellate di scene di Melancholia, Dogville, Antichrist (santa pazienza, l’ho visto una volta Antichrist e non voglio doverlo fare ancora, Lars!), Nymphomaniac, Dancer in the Dark e altri. Il meglio di Lars. Guardate quanto sono bello. Guardate quante volte vi ho tenuto fermi ed agghiacciati.

La questione, però, Lars, è che a forza di specchiarsi nell’acqua, Narciso alla fine annega nello stagno. E, purtroppo, l’impressione è che questo sia il rischio che sta correndo anche il più psicopatico dei registi.
Siamo contenti di aver visto La Casa di Jack? Sì, perché non abbiamo sbattuto le palpebre per ore, la regia è immensa, Matt Dillon bravissimo e il finale enigmatico. Eppure ci sentiamo le bambole di una bambina quando gioca all’ora del té: sedute su seggioline di plastica con una tazza finta nella nostra mano finta, usate e senza libero arbitrio.
Al servizio di un infante capriccioso.
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The House That Jack Built (2018, Danimarca / Svezia / Francia / Germania, 155 min)
Regia: Lars Von Trier
Fotografia: Manuel Alberto Claro
Sceneggiatura: Lars Von Trier
Cast: Matt Dillon (Jack), Bruno Ganz (Virgilio), Uma Thurman (Lady 1)
Mi piace il commento; il film non lo vedo neanche se mi pagano.
Direi che si tratta di una presa di posizione decisamente comprensibile 😀
L’ho appena visto e devo metabolizzarlo, ma di primo acchito direi che è uno dei suoi migliori. Marco, ripensaci!
Non sono d’accordo solo sulla definizione di regia immensa, perché dal movimento Dogma in poi Von Trier penso che giri volutamente in maniera sgraziata per dare ancora più fastidio, ma puntiglio a parte il film mi è piaciuto molto, qui gestisce l’horror meglio di “Antichrist” (mai piaciuto) e non è solo provocazione tutto il tempo come Nymphomaniac (anche quello apprezzato il giusto), però devo dire che questo punto di vista, distorto, monomaniaco, egocentrico e maschile mi è piaciuto, come questo post. Cheers!
Ho visto, occorre dirlo, la versione “emendata”, quindi non so quali siano state le parti tagliate, anche se immagino fossero quelle più splatter. Per quanto mi riguarda ho assistito alle 2 ore e mezza di pellicola senza provare alcuna vera empatia, né verso le vittime (anch’io avrei preso a colpi di cric Uma) né verso Jack: e riuscire a narrare una storia così senza provocare emozioni “vere” (e parlo sempre per me) ma solamente una lucida contemplazione, è già un risultato interessante. Ho trovato inoltre le sequenze dell’epilogo di una bellezza sfolgorante. E sono sicuro che il buon Lars abbia usato Jack per parlare di sé, delle sue ossessioni e della sua poetica. Infine, l’ironia non manca: le “pulizie” della scena del delitto, ossessivamente ripetute, la musica funky e soprattutto il finale, con “Hit the road jack”, mi hanno strappato molti sghignazzi.
ho trovato un articolo in cui parlano in modo abbastanza approfondito dei tagli (QUI) 😉
in effetti è abbastanza assurdo per un film nato già come VM18 fare tagli di questo genere…
Magari, a livello di marketing, “tira” di più un film se dici che era talmente estremo che hanno dovuto fare dei tagli e, comunque, è rimasto VM18….
devo dire che Von Trier, al di là del suo autocompiacimento, al di là della frammentazione della sceneggiatura (che del resto fa parte della sua cifra stilistica), qui è tornato a convincermi…
anch’io ho digerito davvero male Antichrist (soprattutto perché lo ha dedicato a Tarkovskij… lì mi era ribollito il sangue)…
ma qui, a mio avviso, siamo in tutt’altri lidi…
ho compreso bene il tuo punto di vista, circa il fatto di sentirsi usati dal buon Lars… sì forse una componente di ciò è presente in quest’opera…
di questo film ho apprezzato moltissimo il montaggio, l’idea di inserire larghi tratti di pseudo documentario sull’arte…
mi è piaciuto molto il finale…
non vorrei dire una bestemmia, ma credo che sia la miglior rappresentazione dell’inferno dantesco vista sul grande schermo… al di là dei motivi estetici, sopratutto perché arriva a chiusura di un film che giustifica pienamente un tale epilogo…
e poi, non ultimo, ho apprezzato l’ironia efficace e (stranamente) mai fuori luogo, pur in un contesto che a tutto si prestava tranne che al’ironia (la sequenza del disturbo ossessivo compulsivo che si manifesta violentemente durante un “incidente” è geniale)…
la thurman è straordinariamente insopportabile e porta il film su binari tarantiniani che trovano vaghe conferme anche in scene degli altri “incidenti”…
insomma, per me è thumb up (ma lo è anche la tua analisi)
Concordo per la Turman e per tutta la tua esaustiva recensione. 🙂 ..tremendo
Che dire:siete tutti accattivanti. Andrò a vederlo prima o poi se trovo qualcuno disposto ad accompagnarmi. Io ho conosciuto Lars con Le onde del destino e da allora seguita a intrigarmi.
Grazie della recensione! Però… mi sa che passo. Su Von Trier ho già dato abbastanza!
Ohibò. Sono attratta e respinta insieme
Von Trier spreca il suo ENORME talento in storie del… piffero, ma, si sa, talento e intelligenza non sono necessariamente collegati.