Fly Me to the Moon: #6 – Apollo 13, ovvero: quando la Luna iniziava a stufare, ecco l’incidente che risolleva la suspense

La frase non era nemmeno quella.

Cambia il tempo verbale… cosa vuoi che sia?

Eppure, messa in quel modo, contribuisce a generare un maggior pathos rispetto a quella originale.

Sono passate 55 ore e 55 minuti da quando l’Apollo 13 è partito da Cape Canaveral, alle 2:13 del pomeriggio dell’11 aprile 1970.

Jack Swigert, uno dei membri dell’equipaggio, si rivolge al controllo missione: “Okay, Houston, we’ve had a problem here“.

Passano 8 secondi: “This is Houston. Say again please“.

Al che interviene il comandante della missione, il capitano Jim Lovell: “Houston, we’ve had a problem. We’ve had a main B bus undervolt

La frase rivolta a Houston – che nel film viene attribuita a Lovell, anziché a Swigert – è dunque stata pronunciata al passato (nella realtà). Ma la cosa avrebbe tolto (nella finzione) quel senso di pericolo imminente e costante che solo l’uso del presente può garantire.

E così si passa da “Houston, we’ve had a problem” a “Houston we HAVE a problem“.

Il film non poteva che cominciare con le immagini dell’Apollo 11, la missione che meno di un anno prima aveva attirato le attenzioni di tutto il mondo. Attenzioni che erano già calate con il secondo allunaggio, quello effettuato dall’Apollo 12.

Un po’ come avviene nello sport, si guarda la diretta di un grande evento con l’entusiasmo alle stelle.

Le repliche, invece, non se la fila nessuno.

E con l’Apollo 12 andò più o meno così. Si trattava, infatti, sostanzialmente di una replica di qualcosa che ormai si era già visto.

Almeno finché tutto va per il verso giusto.

L’attenzione può risollevarsi se si verificano variazioni significative della missione o se, come nel caso dell’Apollo 13 (13… e poi ci si chiede perché gli americani sono così superstiziosi), accadono degli imprevisti che trasformano un grande spettacolo in un thriller mozzafiato.

Perché Apollo 13 è di fatto un thriller, prima che un biopic o un film storico.

Un thriller claustrofobico, retorico, a tratti scolastico, ma comunque efficace, avvincente e soprattutto epocale, pur nel ristretto ambito dei film ambientati nello spazio. Un film generazionale per coloro che sono nati negli anni Ottanta e che sono stati iniziati al cinema intorno alla metà degli anni Novanta.

Un genere, quello del thriller, che inizia a delinearsi proprio dopo che Tom Hanks pronuncia la frase di cui si è già parlato in apertura:

Houston, abbiamo un problema.

Al presente – come si diceva – per ingenerare nello spettatore una suspense che i gelidi astronauti, abituati a destreggiarsi in situazioni critiche, sembravano aver relegato al passato.

Anche nella realtà, beninteso, la situazione fu di fatto un thriller. Con lieto fine, come tutti (o quasi) sanno (senza che dunque vi sia la necessità dello spoiler alert).

Il fattore che riaccende l’attenzione del pubblico verso le missioni sulla Luna è la frantumazione della linearità, l’avvento dell’imponderabile, la possibilità che si concretizzi una tragedia (che non sarebbe la prima in assoluto, ma la prima fuori dai confini della stratosfera).

Uno spettacolo diverso, potenzialmente tragico, ma pur sempre uno spettacolo.

E così si segue il destino di Lovell e compagni con un’ansia che, guardando il film, non sarà comunque quella che vissero i protagonisti (e gli spettatori) in quei giorni, ma che viene resa in modo estremamente efficace.

Apollo 13 è tratto dal libro scritto dallo stesso Lovell insieme a Jeffrey Kluger, redattore del Time: Lost Moon: The Perilous Voyage of Apollo 13. Materiale di prima mano, dunque, riadattato – ma neanche più di tanto – da Ron Howard.

L’esplosione di uno dei serbatoi di ossigeno del modulo di comando “Odyssey”.

L’annullamento dell’allunaggio (e scusate l’allitterazione).

I cervelloni della NASA al lavoro per riportare a casa i tre piloti, con le scene di problem solving creativo entrate ormai nell’immaginario collettivo.

Vera è la scena della prolungata interruzione del contatto radio durante il rientro: roba che sembra uscita dal manuale del perfetto sceneggiatore e che invece corrisponde a quanto effettivamente accaduto nella realtà, con un silenzio radio che si protrasse per oltre sei minuti a fronte dei normali tre giri di lancette.

Un Tom Hanks eccellente, in uno dei periodi migliori della sua carriera, affiancato da un buon Kevin Bacon e da un discreto Bill Paxton (pur relegato in disparte). A Houston tiene banco il sempre impeccabile Ed Harris (non uno dei suoi migliori ruoli, ma comunque sul pezzo), con Gary Sinise che torna a lavorare con Hanks dopo Forrest Gump.

La fotografia eccellente di Dean Cundey contribuisce, insieme al reparto VFX, a rendere estremamente verosimili le scene ambientate nello spazio e nel modulo Apollo. Pochi riconoscimenti, tuttavia, per questi due dipartimenti (solo il Bafta per gli effetti speciali, tra i premi maggiori), mentre il film si aggiudica due Oscar, per il miglior montaggio e per il miglior sonoro.

Nel film il vero Jim Lovell compare in un piccolo cameo nel ruolo del capitano della nave di recupero, la USS Iwo Jima.

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Apollo 13 (1995, USA, 134 min)

Regia: Ron Howard

Soggetto: Jim Lovell, Jeffrey Kluger

Sceneggiatura: William Broyles Jr., Al Reinert

Fotografia: Dean Cundey

Musiche: James Horner

Interpreti principali: Tom Hanks (Jim Lovell), Kevin Bacon (Jack Swigert), Bill Paxton (Fred Haise), Gary Sinise (Ken Mattingly), Ed Harris (Gene Kranz), Kathleen Quinlan (Marilyn Lovell)

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2 pensieri riguardo “Fly Me to the Moon: #6 – Apollo 13, ovvero: quando la Luna iniziava a stufare, ecco l’incidente che risolleva la suspense

  1. A volte penso che potrebbe essere il miglior film di Ron Howard, oltre a far parte di quel pugno di film del periodo d’oro di Tom Hanks (che qui rifà idealmente coppia con il tenente Dan, Gary Sinise) era ancora un film in cui Howard sfoggiava un certo piglio da autore. Ogni volta che lo passano in tv finisco per rivederlo, ha dentro un sacco di cose che mi piacciono, e tre dei miei preferiti: Ed Harris, Bill Paxton e Gavino Pancetta. A volte nel mezzo dei casini lavorativi, me ne esco con: dobbiamo trovare un modo per entrare una roba quadrata dentro ad un cerchio, ma in pochi mi capiscono (storia vera). Non poteva mancare in questa rubricona 😉 Cheers!

    1. Scena mitica quella, anche per me il problem solving per antonomasia…
      Il miglior film di Ron Howard? forse tecnicamente sì, non però il migliore in assoluto…

Commenti

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