“Another world. Another time. In the age of wonder.“
Un incipit fulminante per quello che è diventato, nel tempo, un piccolo cult degli anni Ottanta, quel decennio così pop che stanno rivivendo oggi un fortunato revival. Un decennio che rivive non solo nei ricordi e nella nostalgia, ma anche nelle operazioni creative in grado di recuperare le storie nate in quella decade per esplorarne maggiormente il mondo e la mitologia; è quello che si propone di fare Dark Crystal: Age of Resistance, la serie di Netflix che debutterà venerdì sulla piattaforma, ampliando l’universo narrativo di Dark Crystal. Quale occasione migliore, quindi, per recuperare il film di Jim Henson e Frank Oz?
Dark Crystal è ambientato in un mondo abitato da creature fantastiche e misteriose, che orbita intorno a tre soli. Mille anni prima dell’inizio della storia, i tre soli si allinearono causando la rottura del Cristallo della Verità; in seguito a questo evento, anche i guardiani del cristallo vennero divisi in due popoli distinti, i bonari Mistici e i malvagi Skeksis. Gli Skeksis si appropriarono del frammento più grande del Cristallo, e iniziarono a usarlo per prolungare la loro vita, alimentando così anche quella dei Mistici. Oggi, una nuova congiunzione dei tre soli è imminente, portando con sé una misteriosa profezia circa l’arrivo di un eroe in grado di recuperare il frammento perduto e riparare il Cristallo sfruttato dagli Skeksis.
Dark Crystal è una fiaba a tutti gli effetti, un fantasy da manuale che segue in modo pedissequo le regole e le convenzioni del genere, un atteggiamento rispettoso della tradizione che si individua soprattutto nella struttura estremamente lineare del racconto e nei ruoli dei personaggi. Come nei più classici dei fantasy abbiamo un eroe riluttante, Jen, al centro di una profezia che lo avvia lungo un cammino di crescita individuale, un oggetto magico da recuperare per ricomporre l’equilibrio del mondo e una serie di aiutanti e oppositori che si alleano, di volta in volta, con il protagonista o con i suoi nemici, i repellenti Skeksis. Uno sviluppo molto convenzionale, forse troppo, che tuttavia dimostra pian piano di essere in grado di sviluppare una propria tesi originale, esposta molto chiaramente nel finale, ovviamente lieto: al contrario della maggior parte delle fiabe, in Dark Crystal il bene e il male non sono due astrazioni opposte e incompatibili, ma, in un certo senso, due facce della stessa medaglia legate in modo indissolubile e dipendenti l’una dall’altra. Come è evidente fin da subito nel montaggio parallelo dei due funerali, ogni Mistico è legato a uno Skeksis al punto da condividere con esso anche la vita e la morte; questa particolare condizione di vita è spiegata appunto nel finale, durante il quale Mistici e Skeksis si fondono per dare vita agli UrSkeks. Nella filosofia di Henson e Oz, dunque, bene e male non sono agli antipodi, ma coesistono all’interno di ognuno di noi, e ognuno deve trovare un equilibrio tra queste sue parti contraddittorie ma indivisibili.
Una filosofia molto ben costruita e messa in scena, che però non trova assoluto compimento all’interno del film. Mentre i due popoli principali del racconto servono magistralmente come argomentazione, infatti, non così fa Jen, il protagonista, rappresentato sia in sceneggiatura che in animazione come un eroe generico e bidimensionale, universalmente buono e privo di zone d’ombra che non solo lo avrebbero reso interessante, ma avrebbero rafforzato ancora di più la tesi dei registi. Jen si ritrova spesso a subire le esuberanti personalità del cast di supporto, dalla lunatica Aughra alla dolce Kira, coprotagonista femminile del film destinata a rubare continuamente la scena. Privo di particolari abilità e generalmente fiacco, Jen è spesso un protagonista con il quale è difficile entrare in sintonia o comunque apprezzare, anche a causa dei pittoreschi comprimari, molto più interessanti di lui, con i quali è costretto a dividere la scena.
L’aspetto più importante di Dark Crystal, quello per cui ancora lo oggi lo si ricorda, infatti, è la tecnica della sua animazione: il film è interamente realizzato con pupazzi animatronici e burattini incaricati di rappresentare il complesso e variegato mondo di Thra. La quantità, e la qualità, dei dettagli che caratterizzano i pupazzi è strabiliante, soprattutto nella loro fisionomia e nel design dei costumi che indossano: mentre i Mistici sono creature gobbe e anziane, simili a grosse tartarughe, gli Skeksis sono grossi rettili simili a lucertole ma dagli attributi mostruosi e grotteschi, ben lontani dalla bonaria goffaggine della loro controparte. Gli Skeksis, soprattutto, godono di un impatto visivo superiore a qualsiasi altra creatura del film, con una presenza scenica imponente e dei costumi bellissimi, tutti diversi ma ugualmente raffinati ed eleganti, sebbene eccessivi nell’intenzione di criticare il consumismo sfrenato di una razza che divora senza remore tutte le riserve del pianeta.
Oltre alle due razze principali, si nota in Dark Crystal quel gusto per il fantasy cupo e a tratti crudo, affascinante ma non necessariamente piacevole, la stessa estetica che alcuni anni dopo Henson e Oz riutilizzeranno per un altro grande classico, Labyrinth. Dark Crystal non è un fantasy rassicurante, anzi: il pericolo è sempre in agguato, e la maggior parte delle creature che incontriamo ha un aspetto sgradevole e una personalità rude, in netta contrapposizione al fantastico patinato della produzione animata mainstream, dominato, allora come oggi, dalla Disney. Henson e Oz ne offrono una valida alternativa, messa in scena in modo impeccabile e dimostrando un’eccellente padroneggiamento di una tecnica d’animazione di certo non facile ma molto suggestiva e affascinante.
Certo, qualche difetto c’è, soprattutto se visto con uno sguardo più disincantato: il ritmo della storia è tutt’altro che uniforme, con diverse cadute che rallentano molto la narrazione, e la particolare tecnica dell’animazione costringe i registi a una direzione molto rigida del film. Ciononostante, Dark Crystal resta un classico dell’animazione anni Ottanta per la sua estetica visionaria e un messaggio capace di innestarsi su secoli di tradizione fiabesca, piegando le convenzioni del genere alle sue esigenze narrative. Un cult, giustamente, da recuperare e riscoprire.
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The Dark Crystal (1982, USA / Regno Unito, 93 min.)
Regia: Jim Henson, Frank Oz
Sceneggiatura: David Odell
Fotografia: Oswald Morris
Musica: Trevor Jones
Interpreti principali: Stephen Garlick (Jen – voce), Lisa Maxwell (Kira – voce), Joseph O’Connor (Narratore – voce), Billie Whitelaw (Aughra – voce), Steve Whitmire (Scienziato Skeksis – voce), Barry Dennen (Ciambellano Skeksis – voce).
Non raggiunge il livello di mito di “Labyrinth”, però esteticamente è davvero bello, Jim Henson e Frank Oz hanno fatto un lavoro pazzesco. La serie Netflix lo riporterà in auge, forse eravamo un po’ troppo pochi a ricordarlo 😉 Cheers
Animare questo film deve essere stato un delirio, anche solo fisicamente deve aver richiesto uno sforzo non indifferente; il risultato però è davvero suggestivo.
Dark Crystal è rimasto un po’ più di nicchia rispetto a Labyrinth, che però poteva contare anche sul richiamo di David Bowie; la cosa positiva di rimestare nel calderone del passato è proprio recuperare questi gioielli e farli riscoprire al pubblico!
Bellissima recensione! Da un po’ di tempo voglio scrivere di questo film di Henson ma ancora non ho trovato la quadra… te hai evidenziato molte delle idee che mi sono venute pure a me: ritmo poco costante, protagonista poco interessante, ma allo stesso tempo un mondo fantastico, una tecnica incredibile e un messaggio condivisibile ed intelligente.
E poi senza questo film non ci sarebbe il meraviglioso Labyrinth con David Bowie e la splendida Jennifer Connelly!!!
Secondo me Labyrinth condivide alcuni dei problemi di Dark Crystal, come il ritmo altalenante, ma ha dalla sua parte dei personaggi molto più interessanti e meglio caratterizzati. Anche lì, però, a fare da padrone è la tecnica dell’animazione dei pupazzi, che deve essere stato un delirio portare in vita!
Io non riesco ad essere oggettivo su Labyrinth, l’ho visto innumerevoli volte (qualche tempo fa pure al cinema!) e lo adoro. Il lavoro tecnico anche lì è impressionante, effettivamente!