Approfondimento: Blade Runner, un bilancio

[Da qualche giorno a questa parte, precisamente dallo scorso 21 novembre, possiamo dire che il futuro descritto in Blade Runner – il capolavoro di fantascienza diretto da Ridley Scott, uscito nelle sale nel lontano 1982 – non è più tale. Non è più futuro. Le vicende del film si svolgevano, infatti, il 20 novembre del 2019, una data ormai ineluttabilmente superata. E che è dunque diventata passato. L’occasione è ghiotta per cercare di stilare un bilancio di un’opera che ha cambiato il cinema di fantascienza. E per vedere come il mondo di oggi sia più o meno vicino a quello descritto dal genio visionario di Philip K. Dick e Ridley Scott.]

Di Andrea Coco

***

Il 2019 è giunto, Los Angeles non è una città semidistrutta e radioattiva, i replicanti non esistono, ma Blade Runner mantiene intatto tutto il suo potere visionario e retrofuturista. Sono passati trentasette anni dalla sua prima uscita, molte sono state le versioni della celebre opera, un tempo più che sufficiente per tentare – senza avere la presunzione di dire tutto – di analizzare uno dei più grandi film di fantascienza mai realizzati. Per provare a capire quali aspetti sono diventati realtà e quali altri, invece, non hanno trovato attuazione. In ultima analisi per domandarsi se oggi viviamo meglio del 1982 e, magari, tirare un sospiro di sollievo.

Per operare una tale analisi mi sono basato sulla versione attualmente in circolazione del film, The Final cut del 2007, distribuita in Italia dalla Warner Bros, restaurata e rimasterizzata in occasione dei trentacinque anni dal lancio negli Stati Uniti della Domestic Cut (nel resto del mondo venne proiettata la International Cut) del 1982.

1.

Fatti i debiti scongiuri, possiamo dire che nel 2019 ci siamo arrivati vivi e vegeti. L’appuntamento con la terza guerra mondiale e il mondo post atomico sembrerebbero rimandati a data da destinarsi, ma in compenso camminiamo, navighiamo persino, nella spazzatura. E l’inquinamento è su livelli decisamente più alti del 1968 (data di uscita del libro) e del 1982 (del lungometraggio).

Inoltre, il panorama delle nostre città assomiglia (ma non sempre, non dappertutto, per fortuna) a quello di Los Angeles. Caotiche, sporche, tanto sovraffollate le strade, quanto vuoti sono i palazzi, sempre più spesso in preda al degrado. Le città, inoltre, sono diventate multietniche: scritte in altre lingue e piatti di altri Paesi sono entrati a far parte del nostro immaginario collettivo e della nostra alimentazione quotidiana a livelli impensabili nel 1982. Per l’Italia, s’intende, perché, nel medesimo periodo, in Gran Bretagna il quadro sociale era già giunto al 2019 o giù di lì.

La pubblicità è ovunque, come la spazzatura verrebbe da dire. E volendo si potrebbe affermare che tra le due cose i rapporti sono più stretti del necessario. Nel film sono, infatti, presenti marchi di alcune aziende tuttora in attività, oppure di altre, come la Pan Am che non esistono più. Non abbiamo, in compenso, veicoli che volano sulla nostra testa, proponendoci pubblicità ossessive, anche se per un certo periodo sui cieli della Capitale ha volato il dirigibile di una nota marca di pneumatici, dotato di display luminoso. Ma, per fortuna, non era così rumoroso, non volava così in basso, non era così invasivo nei messaggi.

A livello linguistico ci sono stati dei cambiamenti significativi. Il cityspeak, lo slang cittadino parlato a Los Angeles, è una realtà in alcune zone degli Stati Uniti. Basta pensare allo spanglish, mentre in Italia il fenomeno non si è ancora evidenziato. Una nuova lingua tipo il pidgin o il creolo non ha ancora visto la luce, in compenso esistono nuove versioni, degenerate, dello slang giovanile.

Se a livello linguistico siamo ancora indietro, lo strapotere delle aziende è diventato realtà, complice anche il crollo del muro di Berlino. Tutto diventa lecito in nome del profitto, dell’ambizione più sfrenata, più sacrilega. Eldon Tyrell, il proprietario della società che produce i replicanti, è così convinto di essere in grado di eguagliare, se non superare Dio da affermare con tono convinto che i suoi prodotti sono “Più umano dell’umano”. E arriva a voler sfidare Rick Deckard (Harrison Ford), invitandolo a testare la macchina Voight-Kampff su Rachael (Sean Young), presentata come un essere umano, in realtà una Nexus 6.

Ma prima di arrivare al nodo centrale dell’opera – cosa distingue un essere umano da una macchina – è necessario compiere una digressione per parlare delle differenze che intercorrono tra la prima versione distribuita a suo tempo nelle sale e quella considerata dallo stesso Ridley Scott come definitiva.

2.

Il film, a prescindere dalla versione che ci accingiamo a vedere, è un’opera visionaria, spettacolare, ricca di scene di azione, con un lungo finale avventuroso, che riesce, con inquadrature ad ampio respiro, a presentare un mondo distopico, così orribile da risultare affascinante, da invogliare lo spettatore a farne parte. A diventare lui stesso, parte della storia. A prendere parte alla caccia.

È innegabile che la colonna sonora di Vangelis, evocativa e affascinante, i vestiti dei personaggi e le scenografie abbiamo contribuito in modo decisivo al successo dell’opera. L’enorme varietà di costumi, persone (molte sono le scene di massa), declinazioni etniche – un esempio della caotica civiltà di massa del futuro -, gli oggetti di arredamento, lo stile dei palazzi, ispirati all’architettura anni quaranta, conferiscono al film un sapore retrofuturista unico, quasi irripetibile.

Blade Runner è un’opera così strutturata che è riduttivo collocarlo nella sola categoria della “Fantascienza”, perché contiene anche aspetti del genere “noir”. L’ambientazione notturna, le strade lucide di pioggia e la storia basata sulle vicende di Rick Deckard, un cacciatore di androidi, un Philip Marlowe del futuro, che si muove tra le strade di una città decadente, ricordano i film noir americani degli anni quaranta.

Del genere abbiamo, infatti, un antieroe (Deckard), una femme fatale (Rachael), il villain, Roy Batty (Rutger Hauer), e, come contorno, altri personaggi, ora assassini, ora perseguitati, ora vittime: Leon Kowalski (Brion James), Zhora Salome (Joanna Cassidy), Pris (Daryl Hannah), J.F. Sebastian (William Sanderson) e Eldon Tyrell (Joe Turkel).

È anche presente nell’opera uno dei temi più cari alla fantascienza: quello dello scienziato pazzo desideroso di sfidare le leggi della natura (Eldon Tyrell come Victor Frankenstein), il quale viene inevitabilmente punito dall’essere (Roy Batty come la Creatura) da lui stesso generato, un angelo caduto, che si ribella al suo dio.

Devo, purtroppo, ammettere che trovo la versione del 1982 migliore rispetto a quella del 2007. Aver abolito l’io narrante, la voce di Deckard, impedisce di cogliere certe sfumature, certi passaggi mentali importanti per la comprensione della storia. Inoltre, l’inserimento di alcune scene, tra cui quella del “sogno dell’unicorno”, cambiano di poco il significato dell’opera, lo rendono solo un po’ più violento.

La conclusione, invece, oltre ad esplicitare un dubbio inespresso, è più vicina al pensiero di Dick, un sostenitore dei finali aperti e per questo spiazzanti.

Il cacciatore di androidi, dopo aver compiuto gesta eroiche, rientra nella sua grigia normalità. Non ha vinto nessuna sua guerra, ha solo raggiunto una nuova tappa di un lungo percorso, senza fine e senza senso.

3.

Prima di arrivare al nodo centrale dell’opera vorrei descrivere i consistenti contenuti speciali, presenti nei due DVD del cofanetto, così tanti da rappresentare un film nel film. Si parte dall’introduzione del regista Ridley Scott, il quale spiega come questa sia la versione che lui preferisce e, a seguire, il film commentato da Scott e una seconda versione commentata degli autori e realizzatori dell’opera (attenzione: tutti e tre i filmati in inglese non sottotitolato).

Nel secondo DVD (questa volta i contenuti sono sottotitolati in italiano!) la ricostruzione dell’intero iter compiuto per dare vita a Blade Runner: a partire dalla stesura della sceneggiatura e dalla ricerca dei fondi necessari per girare il film, la scelta degli attori, la progettazione e costruzione dei set, dei veicoli, le tensioni emerse tra quanti lavoravano alla realizzazione del film, gli effetti speciali, la post produzione (con l’inserimento del contestato lieto fine) e l’arrivo sul grande schermo, con le impressioni di chi lo ha visto, dei critici e di quanti hanno lavorato per dare vita ad un’opera cinematografica che continua ad avere successo e a rivelare sempre nuovi particolari.

Moltissime le curiosità che si possono vedere. Ne elencherò solo alcune, quelle che mi hanno colpito. Ad esempio, il fatto che Ridley Scott non volesse girare il film: aveva appena diretto Alien e non era interessato a un altro lungometraggio di fantascienza, ma la morte del fratello gli fece cambiare idea. Vedeva in quel lavoro un modo per distrarsi da un grave lutto familiare.

Blade Runner non subì soltanto un cambio di finale, con l’aggiunta del lieto fine, ma anche la scena d’amore tra Deckard e Rachael, parzialmente visibile nel documentario, venne tagliata. Una doppia scelta per rendere l’opera più commerciale, vicina ai gusti del grande pubblico.

Rick Deckard era stato costruito ispirandosi al personaggio tipo dei film noir americani degli anni 40 (Philip Marlowe) e, in un primo tempo, si era pensato di ingaggiare Dustin Hoffman, disponibile ad interpretare il cacciatore di androidi a patto che l’opera avesse avuto dei risvolti sociali. Solo la rinuncia dell’attore, per divergenze sulle caratteristiche del personaggio, fece cadere la scelta su Ford.

4.

Blade Runner suggerisce allo spettatore una domanda che la fantascienza ciclicamente propone ai suoi fans: che cosa ci qualifica come esseri umani e che differenza c’è tra gli esseri umani e i replicanti? Questo era un aspetto del libro molto caro a Philip Dick, il quale desiderava che fosse presente anche nel film.

Una prima risposta può venire dalla durata dell’esistenza, più corta, e dall’assenza dei ricordi, di un passato. Un vuoto che qualcuno cerca di colmare in tutti i modi, un tentativo per essere uguali agli umani, un modo per trovare un equilibrio interiore, ma anche “Uno strumento per controllarli” come spiegherà lo stesso Eldon Tyrell.

Ma il vero fattore distintivo risiede nell’empatia, nella capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui. Una capacità caratteristica dell’essere umano e degli animali, di cui i Nexus sono privi e che la famigerata macchina Voight-Kampff è in grado di rilevare. I replicanti modello Nexus-6, infatti, pur essendo intelligenti come gli esseri umani e più forti di loro, possono solo simulare l’empatia, finendo così per venire riconosciuti dallo speciale test. Si tratta di una interessante novità perché fino ad allora nelle opere cinematografiche e nei racconti la distinzione tra una macchina e un essere umano era basata su una differenza di tipo fisico. Qui, invece, la distinzione è di tipo psicologico.

5.

Ma anche tale differenza può rivelarsi sottile come la lama sulla quale il protagonista del film si trova a correre. Perché se anche i replicanti possono provare sentimenti di pietà – Roy salverà Deckard un attimo prima che precipiti nel vuoto – che differenza c’è allora tra gli esseri umani e i replicanti?

E la domanda si può benissimo riproporre oggi alla luce di quello che è diventata la nostra società, così alienante da spingere le persone a compiere, senza pensarci troppo, azioni di violenza efferata, gratuita.

Ebbene, se la robotica è giunta a livelli così evoluti da permettere ai robot di leggere le espressioni del volto umano e gli studi dell’Intelligenza Artificiale progrediscono in modo costante, quanto è distante il giorno in cui una “macchina” potrebbe rivelarsi più umana di certe persone? E a quel punto chi sarebbero, in avvenire, i freddi, apatici, replicanti?

Una possibile risposta si trova nel sequel Blade Runner 2049: nessuna. Pensate che sia il caso di riparlarne tra trent’anni per vedere come è andata a finire?

6 pensieri riguardo “Approfondimento: Blade Runner, un bilancio

  1. Approfitto dell’occasione per qualche riga sulla SF americana e sulla sua incredibile vitalità. Da loro il futuro interessa davvero; che sia la fine del mondo o semplicemente il diffondersi dell’Intelligenza Artificiale o i viaggi nel tempo…
    Da noi invece il futuro non interessa nessuno. A noi italieschi piace il passato. Continueremo in eterno a interessarci del festival di Sanremo, ad ascoltare Gianni Morandi e Raffaella Carrà. E continueremo a votare la DC, che adesso si chiama PD ma è sempre la stessa fuffa…

    1. Purtroppo da appassionato lettore e (ex) scrittore di fantascienza posso dirti che la crisi della fantascienza italiana è legata a molti fattori: innanzitutto la paura del futuro da parte degli “italieschi” (che non controlliamo più e di certo non spinge la popolazione a leggere tali libri), una certa spocchia della cultura “alta”verso il genere, una cattiva selezione e uno scarso sostegno da parte delle case editrici medio-grandi, a parte i classici, il fatto che si legga poco e “male”. Il bacino “forti” dei lettori di fantascienza è stimato in 300 persone….

  2. Infine l’idea (che hai giustamente segnalato) che il “meglio” sia alle nostre spalle. Tale concetto è emerso in una tesi di laurea di una italo americana, che era venuta a studiare in Italia. Tutto dire…
    A livello televisivo, infine, il problema è un gatto che si morde la coda: vecchie glorie che non liberano il campo, ma al tempo stesso le nuove leve non sono minimamente all’altezza delle vecchie glorie. Ma se le vecchie glorie non se ne vanno i giovani quando emergeranno?
    Domenica in è quanto di più straniante ci possa essere. Se mandassimo oggi in onda un’edizione del 1985 nessuno coglierebbe la differenza. A parte i vestiti.
    Con Adrian poi abbiamo toccato il fondo…è una riedizione di Fantastico 8 a sua volta una riedizione di un qualsiasi programma di Celentano degli anni 70.

    1. Beh, esula un po’ dal discorso strettamente cinematografico, ma la sensazione che “il meglio sia alle spalle” è abbastanza scontata. Non c’è un indicatore che sia in miglioramento, e basta essere immersi nella vita reale per tastare con mano. Che poi non ci si debba arrendere al declino, questo è un altro discorso!

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