Siamo in Austria, in una valle – in una valle? Sul lato di una valle dove forse fanno lo yodle, e ci sono prati prati verdi verdi e grano grano, ma tutto diagonale così \ per cui già ti immagini gli abitanti di questo villaggio abbarbicato alla montagna che la metà delle loro cose, quasiasi cosa, se la perdono appena gli cade perché rotola a fondo valle. L’inizio è assai tipico dei film di Terenzio Malick, o anzi della sua concezione dell’amore: lui e lei come dei grulli si inseguono lanciando ridolini nei prati, figlie varie e bionde spuntano intorno come dei funghi – c’è di buono che almeno qui i protagonisti non sono dei figoni assurdi con vite misere e infelici, ho appena visto il terribile e fastidioso To the wonder, non riesco a liberarmene.
Quindi, nella ridente Radegunda, siamo nel 1939, è estate, si batte il grano e Franz e Fani si amano e hanno una famiglia un po’ da Mulino crucco. A parte questa casa, dove appena esci precipiti a valle (c’era qualcosa del genere in un vecchio Asterix), vivono una vita ok, direbbero i Ramones. Però, e tutto è basato su una storia vera di un contadino che nel 200? (oublié) è stato pure fatto santo dalla chiesa cattolica, il rombante rumore degli aerei nel cielo ricorda a tutti che c’è la guerra, che c’è stato l’Anschluss nel ‘38 e mala tempora: si capisce che butta a schifìo. Franz viene mandato una prima volta all’addestramento, e lì ancora ancora. Ma poi torna, e la guerra è sempre più guerra e lui, dentro in fondo, sente sempre più vasta la voragine tra l’andare a uccidere persone e la sua fede. Ovviamente il villaggio è pieno di invasati sbronzi con svastico-spillette, che inneggiano al Fuhrer, giocano alle notti dei cristalli e cominciano a guardarlo torvo. Perché non vuoi andare? Eh? Devi tutto alla patria. Quindi lui chiede al prete, che lo vorrebbe aiutare ma lo rimbalza al vescovo. Che col cazzo che gli può dire che la guerra è ingiusta.
Ecco, se c’è una cosa che si può obiettare a questo Franz obiettore, è che vede chiaramente la catastrofe imminire (se mi si passa il termine) ma, almeno sul piano personale, nulla fa per evitarla. Nel senso, è lapalissiano da subito che finisci male, se non vuoi giurare fedeltà a Hitler e sparare alla gente. Quelli su ste cose so’n sacco permalosi. E però non è che pensa qualcosa, che so, scappo nei boschi, mi nascondo in una casa chiusa. Honolulu, arrivo! (cit!!!) Lui aspetta. Aspetta mentre tutti intorno, tranne l’amata e amante Fani, lo schifano e lo sputano sempre di più. Fino a che lo arruolano. Lui che fa, scappa? Si spara a un piede? No, si presenta, si rifiuta di giurare –> carcere. Da questo punto avremo da un lato lui che ne prende sempre di più, con capetti sempre superiori che gli dicono “non vali gnente, nessuno saprà di te, giuri nazi-fedeltà?”. Lui che dice di no, e allora passa a altre botte, e poi a un capetto un po’ più su. Va a finire al tribunale di Berlino, se il film fosse durato ancora incontrava direttamente Adolfo. Dall’altro lato la vita al villaggio che prosegue, inquinata dall’odio degli altri verso la famiglia del traditore, che viene lasciata sola nei lavori stagionali e privata dell’aiuto della comunità. E ste tre figlie son troppo piccole mannaggia, a lavorare, sciò! Tanto qui è tutto verde, ma il resto del mondo è in fiamme.
Quindi cosa cambia rispetto agli altri film di Terenzio? C’è una cazzo di storia dannazione, e tutte le sue involuzioni e panoramiche (diagonali) e voli d’uccello, e cumulonembi e binomio uomo-natura, lui può inquadrarcelo tutto dentro. Immagini e fotografia al solito commoventi, ma hai capito che puoi fare, quando hai una sceneggiatura? Pazzesco no? (faccio outing, avevo amato The tree of life. Puke-storm invece su To the wonder)
E addirittura puoi parlare di fede, e di morte stagioni, e la presente e viva… ah no, e questa specie di martire protocristiano ti sembra un figo assurdo – negli atti totalmente insensato, come buona parte di quelli finiti, o finti, santi, ma nell’animo pur sempre in cerca di un senso della vita. E l’amore è uno. E forse la morte è l’altro. E della fede boh, non mi fido. Restando in argomento, diventa facile (soprattutto perché pure quello vidi di recente) il collegamento con Silence di Scorsese, dove di nuovo la fede era indagata e schiacciata e quella volta infangata (ma quei due preti in effetti eran troppo stupidi).
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Radegund (2019, USA, Germania, 173 min)
Regia e Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Jörg Widmer
Musiche: James Newton Howard
Interpreti principali: August Diehl (Franz Jägerstätter), Valerie Pachner (Fani Jägerstätter), Maria Simon (Resie), Matthias Schoenaerts (Herder), Michael Nyqvist (vescovo Joseph Fließen), Bruno Ganz (giudice Lueben)
Sono in trepida attesa per questo film: doveva uscire questo fine settimana in una salettina vicino casa mia a Firenze, ma è stato tutto annullato!
Non so, sono ancora arrabbiata con Malick per quel pippone di The New World… e questa recensione non è che mi abbia fatto venire tanta voglia…
Per conto mio l’occasione a Terenzio va data sempre! Con alterni risultati eh
L’ultimo Malick resta un oggetto misterioso, ma comunque i suoi film son da vedere, in ciò simile a un Von Trier…
Questo l’han proprio distribuito ad mentula canis, c’è da dire… e non c’entra neanche il covid…
Da come l’hai descritto mi sono immaginato una continuità con Il nastro bianco di Haneke, che dici?
Vero è, infatti nel frattempo hanno anche inventato il cinema a colori 😀