touch of modern: Labyrinth – Dove tutto è possibile, di Jim Henson

Figlia di genitori separati, Sarah (Jennifer Connelly) è una ragazza adolescente che ha un rapporto difficile con la matrigna (Shelley Thompson), un contrasto che cerca di rimuovere tuffandosi nella lettura delle opere fantasy, fino a vivere, a sognare ad occhi aperti le proprie avventure. Una sera il padre (Christopher Malcolm) e la matrigna vogliono uscire per andare a cena insieme; Sarah, quindi, si ritrova a fare da babysitter a Toby (Toby Froud), un compito che lei esegue malvolentieri perché ha un rapporto conflittuale sia i genitori sia con il fratellino.

Infastidita dal pianto incessante del bambino, recita con convinzione una frase presente nel suo libro preferito The Labyrinth ovvero la richiesta che i Goblin portino via Toby. Il suo desiderio viene prontamente esaudito e mentre Sarah sta cercando di capire che cosa sia successo, il bambino è misteriosamente scomparso e nella stanza entra un barbagianni. Il rapace si trasforma nel re dei Goblin, Jareth (David Bowie), il quale le dice di aver rapito il fratellino come lei stessa aveva richiesto e le offre un dono: una sfera di cristallo dove sono contenuti i suoi desideri.

Sarah rifiuta l’oggetto e chiede piuttosto che le venga restituito Toby. Di fronte alle sue insistenze, Jareth le spiega che il bambino si trova nel suo castello, al centro di un labirinto, e le dà tredici ore di tempo per raggiungerlo e riportarlo a casa. In caso contrario allo scadere della tredicesima ora, diventerà anche lui un Goblin. Ovviamente Sarah non ha altra scelta se non quella di entrare nel labirinto ed iniziare così una fantastica avventura, dove in compagnia del nano Gogol (Shari Weiser), di Bubo, un bestione dall’animo gentile (Rob Mills) e di Sir Didymus (David Barclay), uno yorkshire, che cavalca un cane, dovrà superare ostacoli di varia natura per riportare a casa il fratellino e sé stessa.

1.
Assieme al film Conan il Barbaro, Labyrinth è l’altra opera che apprezzo per le sue qualità intrinseche e non perché rappresenti la migliore espressione filmica del genere fantasy. Espone in un modo splendido valori universali come l’amicizia e il perdono, inseriti dentro un film fornito di valida sceneggiatura, ben recitato, girato, montato e dotato di una splendida colonna sonora. E un terzo tema che ho scelto di affrontare nella parte conclusiva di questo mini-saggio.

Un’opera che deve una parte non indifferente del suo successo agli scenari e alle creature, basati sui disegni di Brian Froud, alla regia di Jim Henson, il creatore dei Muppets, e al triplice ruolo svolto da David Bowie, coprotagonista del film, cantante nonché autore di alcuni dei brani della coinvolgente, emozionante colonna sonora.

A livello narrativo, Labyrinth riproduce la struttura tipica del cinema americano anni 80. Il lungometraggio inizia, infatti, con una scena drammatica, il rapimento di Toby, la storia si divide in tre atti e ha un punto di svolta fondamentale per il susseguirsi degli eventi. Il passaggio da un atto all’altro avviene quando la protagonista varca una porta e supera gli ostacoli collegati ad essa: le porte parlanti con un inconfondibile accento partenopeo, fatte come due carte da gioco, le altre due fornite di due batacchi parlanti, uno sordo e l’altro muto, e, infine, la porta della città dei goblin, protetta da una bellicosa creatura artificiale.

Si tratta di una mera divisione narrativa, perché la struttura dell’opera è molto complessa, piena di simboli e rimandi esoterici, mitologici, di prove da superare e lezioni da apprendere. Così ricca di informazioni, da poterci scrivere sopra un vero e proprio saggio, sia per quanto riguarda il film che il libro derivato dal lungometraggio. Invece, il punto di svolta è rappresentato proprio dalla decisione di Sarah di non farsi sedurre da Jareth, che ha organizzato uno splendido ballo veneziano pur di farle dimenticare il suo obiettivo. Da quel momento in poi, lei e la sua “compagnia” non avranno più esitazioni: sempre avanti fino alla fine, fino al castello di Jareth.

2.
Labyrinth rappresenta, anche, un notevole esempio del “viaggio dell’eroe”, il modello sviluppato da Christopher Vogler e spesso utilizzato per definire la struttura narrativa di un racconto e di un film. E questa chiave di lettura è probabilmente quella più confacente al film. Lo scheda del viaggio vogleriano prevede tre atti.

Nel primo atto abbiamo:
– Mondo ordinario: quello in cui vivono Sarah e i suoi familiari
– Chiamata all’avventura: il rapimento di Toby
– Rifiuto del richiamo: L’eroe non vuole entrare in azione, ma il rifiuto ricevuto dal Re dei Goblin e la sorte oscura del bambino, lo spinge a superare qualsiasi esitazione.
– L’incontro con il mentore: il nano Gogol, personaggio in un primo tempo dai comportamenti ambigui.
– Varco della soglia: Sarah decide andare in soccorso del fratellino, entrando nel labirinto.

Nel secondo atto:
– Prove, alleati, nemici: gli enigmi, le trappole che deve risolvere e superare, grazie alle quali acquisirà una maggiore consapevolezza e sapienza. In questa impresa Gogol, Bubo e Sir Didymus sono i suoi alleati mentre nemici sono, ovviamente, tutti i Goblin e, soprattutto, Jareth.
– Avvicinamento alla caverna: le prove sempre più difficili che Sarah deve superare, da sola o con l’aiuto dei suoi amici.
– Prova centrale: il Ballo veneziano, tra l’alto uno dei punti più affascinanti e inquietanti dell’intero film, dove lei si trova faccia a faccia con “l’ombra”, il re dei Goblin.
– Ricompensa: dopo il ballo, Sarah è pienamente consapevole che questo viaggio ha un solo obiettivo: liberare Toby. Non sono ammesse divagazione, soluzioni alternative
– La via del ritorno: una strada obbligata che passa attraverso il castello e la sconfitta di Jareth.

Il terzo atto prevede:
– Resurrezione: Sarah è tornata a casa e l’esperienza l’ha profondamente cambiata.
– Ritorno con l’elisir: il suo premio è… ho spoilerato abbastanza! Posso solo dire che la chiusura della storia è basata sul modello narrativo americano anziché europeo.

Invece, i sette personaggi principali del viaggio dell’eroe sono:
l’Eroe: Sarah
il Mentore: il nano Gogol e altri personaggi incontrati nel labirinto
il Guardiano della soglia: i vari personaggi che “interpretano” le porte o forniscono informazioni più o meno esatte per arrivare al castello.
il Messaggero: il gufo (Jareth sotto forma di animale)
il Mutaforme: il nano Gogol
l’Ombra: Jareth (sotto forma umana)
l’Imbroglione: Bubo e Sir Didymus

3.
Come già detto il film è pieno di così tante citazioni e riferimenti al mondo pagano, magico e misterico, che diventa oggettivamente molto difficile poterli spiegare in un solo articolo, quindi ho scelto di evidenziare solo quelli più strettamente legati all’opera filmica. Quelli che si colgono a prima vista.

Si inizia proprio dalla stanza della protagonista Sarah, piena di oggetti che rimandano al suo passato, come gli articoli ritagliati e raccolti in un libro che parlano di una madre non più presente, oppure bambole e immagini molto somiglianti ai personaggi e ai luoghi che incontrerà nel suo viaggio. E libri di favole come Biancaneve, quello dei Fratelli Grimm e Outside Over There di Maurice Sendak, il quale racconta la storia di una ragazza, Ida, che deve salvare la sua sorellina rapita dai Goblin.

Sarah vive una situazione di disagio: l’assenza della madre naturale, i rapporti non facili con i suoi familiari l’hanno spinta a crearsi un mondo tutto suo, la camera e tutto ciò che contiene, inaccessibile agli “estranei”, e ad affidarsi a un libro Labyrinth, una fonte costante di ispirazione e consolazione.

Questo mondo, però, è destinato ad andare in frantumi e sarà proprio lei a farlo senza volere, per un capriccio legato alla gelosia.

In compenso scoprirà che il mondo fantastico da lei cercato non solo non è un bel posto, ma soprattutto “non è quello che sembra” (Gogol); imparerà, insomma, a doversi confrontare con ostacoli, pericoli, e personaggi ambigui o ambivalenti, come a volte sono le persone reali.

Ma dalla sua parte ha due armi molto forti, sconosciute in quel mondo, una tipica dei ragazzi e l’altra, forse, maggiormente presente tra le persone adulte: l’amicizia e il perdono. Gogol e Bubo sono conquistati dalla sua amicizia perché sicuramente sanno cosa sia, ma sono consapevoli che viene poco praticata dalle loro parti. Esiste sì l’amicizia, ma è di tipo venale. Quella disinteressata è merce assai rara, forse inesistente.

Il perdono è qualcosa di ancora più devastante per gli abitanti del Labirinto, un luogo dove chi sbaglia paga caro i suoi errori. Il perdono di Sarah a Gogol, che esitante gli ha dato la pesca avvelenata non solo lo avvicina in modo definitivo alla ragazza, ma diventa veramente un suo amico, disposto a sfidare le ire di Jareth, aprendo le porte della città dei Goblin, e introduce un concetto nuovo in quel posto cupo: la solidarietà. Perché solo uniti si vince un nemico più forte.

L’avversario da sconfiggere è ovviamente Jareth, una persona sola, sovrano di un popolo nel quale non si riconosce, che ha una concezione distorta dall’amore, come possesso e manipolazione del prossimo.
E, ovviamente, ciò che simboleggia ovvero il mondo dei sogni senza costrutto, dei sogni che tolgono spazio alla realtà, regalando soddisfazioni vacue, come la una sfera di cristallo vista all’inizio del film.
Infatti, la frase magica detta da Sarah, che metterà fine all’incantesimo, sarà proprio: “Tu non hai nessun potere su di me”. Perché il potere dei sogni è quello che noi concediamo loro di avere.

4.
Accennavo a un terzo tema, che avrei affrontato nella parte conclusiva di questo mini-saggio, ebbene, eccoci giunti al punto: Labyrinth è un esempio perfetto, classico di una storia di formazione, di crescita interiore, perché Sarah al termine dell’avventura è cambiata, è diventata adulta.

Ma è una definizione incompleta, perché se diventare adulti vuol dire smettere di perdere tempo dietro ai sogni, diventare responsabili delle proprie scelte, delle proprie azioni, ma soprattutto consapevoli delle proprie fragilità, il film integra questo messaggio con un altro, molto importante sotto il profilo psicologico. Vuol dire trovare un proprio equilibrio.

È vero che Sarah regala il suo orsacchiotto, Lancillotto, al fratellino, ma non si guarda bene dal mandare via gli abitanti del Labirinto, che le chiedono il permesso di tornare a trovarla quando vuole lei, in ultima analisi di permettergli di continuare ad esistere nei suoi pensieri. Una richiesta che le accoglie perché diventare adulti non vuol dire rinunciare ai sogni ma vuol dire dargli il loro giusto spazio. Senza ucciderli e farsi dominare da essi.

Non è un caso che Sarah concluda il film dicendo proprio: “Non so perché, ma, di quando in quando, nella mia vita, senza apparenti ragioni, io sento il bisogno di tutti voi”.

___

Labyrinth (Regno Unito – Stati Uniti d’America, 1986, 101 min.)

Regia: Jim Henson

Sceneggiatura: Terry Jones

Musiche: Trevor Jones, David Bowie

Interpreti principali: David Bowie, Jennifer Connelly, Shelley Thompson, Christopher Malcolm, Toby Froud, Shari Weiser, Rob Mills, David Barclay

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12 pensieri riguardo “touch of modern: Labyrinth – Dove tutto è possibile, di Jim Henson

  1. Bellissima analisi! Mancano oggi questi film così stratificati e, al tempo stesso, incredibilmente divertenti e affascinanti da vedere, un cinema per ragazzi che abbia anche dei contenuti importanti.

    1. Cancordo. La cosa che mi ha stupito è stata la ricerca a livello di simbologia, esoterismo, che è stata stata fatta…per un FILM! Avrei capito per un libro.

  2. Non sono molto obiettivo, quando c’è Bowie vedo tutto luccicoso e magnifico 🤩 Gran bella recensione complimenti

    1. Si la tecnologia del tempo non consentiva certi effetti speciale al computer. Ma, per fortuna giusto, una scena mostra tutti i suoi limiti: quella con il popolo del fuoco.

  3. Fantastica la tua analisi di un film meraviglioso. Terry Jones alla sceneggiatura qui ha firmato un vero capolavoro, un film da godere su più livelli, come hai spiegato benissimo. Poi il talento di Jim Henson, quello di Bowie, la Connelly da incorniciare…
    Ho avuto la fortuna di rivederlo al cinema un paio di anni fa, davvero un film unico!!!

    1. Si unico davvero. A rivederlo a più di venti anni (era passato in tv, prima di allora nel 1986 al cinema) mi sono emozionato.

  4. Anche io ho parlato di questo film, mi dispiace non averlo mai visto da piccola perché di sicuro mi avrebbe fatto un effetto diverso, ma visto da grande comunque l’ho trovato davvero divertente, con un David Bowie che toglie il fiato, una colonna sonora meravigliosa e dei pupazzi che fanno proprio impallidire tutte le scemenze fatte al computer che guardano oggi i bambini. Bellissimo saggio, complimenti!

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