In quest’estate dominata (calcisticamente) dagli europei in differita di un anno, conclusisi trionfalmente per l’Italia, è uscito su Netflix (già da qualche settimana) un film su Roberto Baggio detto Roby.
“R. Baggio” sulla maglietta della nazionale italiana a USA ‘94, nel primo anno in cui si iniziarono a usare i nomi sopra il numero. “Erre puntato” per distinguerlo da Dino Baggio, il meno famoso omonimo che resta scolpito nella nostra memoria soprattutto per quell’accento esasperato sul “Diiino” che usava Bruno Pizzul, con la sua iconica cadenza, leggendo la formazione o citandolo durante le fasi di gioco (mai troppo concitate, nel calcio dei primi anni Novanta che rispetto a oggi sembra un altro sport).
Sul film dirò soltanto che è meno peggio di come me l’aspettavo. Soprattutto perché le aspettative erano davvero molto basse, considerati gli ultimi film Netflix che ho avuto modo di vedere. C’era poi una sana diffidenza verso l’operazione in sé, che si pone nel solco della serie tv Sky su Totti – e di solito i film che escono sfruttando il successo di prodotti precedenti si rivelano sempre un po’ raffazzonati, come tutte le cose create per cavalcare le mode.
Il Divin Codino non fa eccezione, restando un filmetto Netflix dimenticabile, e che sarà dimenticato probabilmente già proprio per l’effetto di questi trionfali Europei. Ma in questo scarno contesto post-pandemico è ancora uno di quei prodotti che si lasciano guardare.
Quello che si apprezza maggiormente è la scelta di focalizzarsi sulle sconfitte più che sulle vittorie, la volontà precisa di fare di Baggio un eroe tragico, quasi un loser da New Hollywood. Che poi, Baggio, in fondo in fondo, un eroe tragico un po’ lo era, ma il film di Letizia Lamartire sicuramente calca la mano, approfondendo gli inciampi di una carriera comunque gloriosa (e ci mancherebbe) e sorvolando invece quasi del tutto sui successi.
Il pallone d’oro del 1993 è liquidato con una mezza battuta. Nessuna parola sui trofei vinti (che in effetti, però, non furono moltissimi). Il film si concentra largamente, invece, su almeno due drammi sportivi: il rigore sbagliato durante la finale dei mondiali USA 1994, che decretò la vittoria del Brasile (che comunque avrebbe avuto la chance di alzare la coppa del mondo anche segnando il suo quinto rigore, spesso lo si dimentica); e la mancata convocazione ai mondiali del 2002 in Giappone-Sud Corea.
Si esalta l’eroe popolare che andò a giocare a Brescia per lottare per la salvezza. E si dimenticano i momenti scomodi o impopolari (il trasferimento dalla Fiorentina alla Juve; i cinque anni di militanza tra le file della Vecchia Signora; gli anni – piuttosto deludenti – del Milan e il mai ben visto passaggio all’altra compagine meneghina). Si dimenticano quei momenti anche a costo di sacrificare, in quanto inopportunamente incastrata in quegli anni, l’altra stagione del Baggio-pop, vale a dire l’ottima annata trascorsa a Bologna, che anticipò il periodo bresciano, quello del Baggio provincial-popolare.
Ma del resto – e per fortuna – non si tratta di una serie tv e il tempo a disposizione è quel che è, soprattutto se ci si deve concentrare sul tema principale del film, che la regista ha deciso essere quello del travagliato anzichenò rapporto col padre, che regala in fondo i migliori momenti della pellicola, se si escludono i banali e scontati afflati nostalgici che l’intera operazione è volta a suscitare.
Più sopra parlavo di sconfitte e di losers. Aspetti che in questa pellicola ho particolarmente apprezzato, credo, per motivi squisitamente autobiografici, legati alla mia educazione sentimental-calcistica.
Devo infatti confessare che io, classe 1984, ho il mio primo, nitido ricordo calcistico proprio in quella finale dei mondiali del 1994. Avevo dieci anni e sicuramente seguivo il calcio già da qualche tempo, ma chissà perché non ricordo nulla (sempre calcisticamente, beninteso) prima di quella finale, che invece ho impressa nella memoria piuttosto bene. Ero a casa dei miei nonni, in piedi davanti a una tv 14 pollici (quando le finali dei mondiali si guardavano su schermi poco più grandi di un iPad). E ricordo le lacrime e mio nonno che cercava di minimizzare, per consolarmi.
Due anni dopo la Juve (squadra per cui tifo fin da piccolo) avrebbe vinto la Champion’s League, proprio nell’anno in cui Baggio si era trasferito al Milan (e ricordare anche questa cosa, nel film, avrebbe significato infierire). Nei due anni successivi la Juve avrebbe invece perso la finale: nel ’97 col Borussia Dortmund e nel ’98 col Real Madrid (negli anni in cui il Real era un outsider dalla storia gloriosa – gli anni Novanta in cui Juve e Milan erano i Real e Barcellona di oggi, o almeno di qualche anno fa).
Ebbene, dopo la batosta della finale dei mondiali 1994, il mio successivo, nitido ricordo calcistico è la finale persa col Borussia Dortmund, tre anni dopo Pasadena. Altre lacrime. Il televisore un po’ più grande. Non ricordo quasi niente della finale vinta a Roma con l’Ajax nel 1996. Ricordo solo le lacrime dopo la partita di Monaco di Baviera. Copiose, e che iniziavano a essere poco intelligenti, per un ragazzino di tredici anni (o almeno così la vedo oggi, col beneficio del senno di poi).
Qualsiasi psicologo o psico-qualcosa dirà (o almeno credo) che è normale ricordare i traumi infantili ben più delle gioie. Eppure, mi piace pensare che anch’io, nel mio piccolo, posso paragonarmi al divin codino per questo impulso innato alla tragedia calcistica. Lo stesso che mi spinge a scrivere di Baggio e del 1994 nei giorni in cui tutta Italia (o quasi) festeggia la vittoria dell’Europeo.
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Il Divin Codino (Italia, 2021, 92′)
Regia: Letizia Lamartire
Interpreti principali: Andrea Arcangeli (Roberto Baggio), Antonio Zavatteri (Arrigo Sacchi), Martufello (Carlo Mazzone)
Se sei italiano non scampi, qualche ricordo calcistico ce l’hai per forza! Io ne ho uno vivissimo di Baggio, del suo codino (finito anche in una storia di Topolino) e di quella finale, anche se ero molto piccola. Bell’articolo, e anche la serie mi interessa, grazie!
Già, chissà quanti ragazzi di oggi ricorderanno la recente vittoria degli europei come una sorta di liberazione da due anni terribili. Sperando che tutti sti festeggiamenti non siano stati troppo irresponsabili…
Baggio è il mio mito calcistico da sempre, tanto che non ho più seguito il calcio dopo il suo ritiro. Meno male non sono l’unico che ricorda che anche segnando quel rigore negli Stati Uniti non è che avremmo vinto la partita, anzi! Sarebbe stato tutti da vedere in ogni caso!
Sei un po’ alla Cremonini quindi😉
Che in una canzone diceva “da quando Baggio non gioca più… non è più domenica…”😁
Oddio non mi ero mai visto così… Dici che devo preoccuparmi? :–D
Io non ho mai seguito il calcio, nemmeno da bambino, però alle elementari, per un periodo, ho esibito un codino come quello di Baggio – solo perché lo avevano i miei amici più calcisticamente impegnati, ovviamente; l’ho tagliato quando la maestra di matematica ha iniziato a tirarmelo ogni volta che sbagliavo i compiti.
Non credo che guarderò il film, ma è molto interessante la scelta di trattare in modo così tragico il personaggio di Baggio ribaltando quello che ci si aspetterebbe fosse un racconto quasi agiografico.
Eh ma in quegli anni andava il codino, io non l’ho mai avuto, ma ricordo diversi amici e conoscenti che ce l’avevano.
Storia d’altri tempi quella della maestra. Se lo facessero oggi finirebbero sui giornali…😏
Lui Raffaello e Delpiero come Pinturicchio… L’Avvocato (detestabile per molti versi) ci vedeva lungo