Al cinema: Diabolik, dei Manetti Bros.

Del “Re del Terrore” ho due ricordi: uno in bianco e nero e l’altro a colori.

Il primo risale agli anni Settanta, quando ero ragazzino e leggevo con avidità gli albi di Diabolik, rigorosamente in bianco e nero. Ero affascinato dalle sue invenzioni, su tutte le maschere che utilizzava per assumere l’identità di un’altra persona.

Il colore appartiene, invece, agli anni Ottanta, quando ho visto per la prima volta il film girato da Mario Bava. Devo confessare di essere rimasto molto deluso dall’opera: i due protagonisti principali erano lontani anni luce dagli “autentici” Diabolik ed Eva Kant.

Ed è comprensibile con quale stato d’animo, speranzoso e insieme timoroso, sia andato a vedere il film dei Manetti Brothers.

Un timore che, nel corso della proiezione, ha ceduto il passo alla speranza, rimpiazzata infine, quando sono apparsi i titoli di coda, da una piena soddisfazione per aver assistito alla visione di un’opera il cui valore va oltre il genere affrontato, il noir. Insomma, un film che può catturare l’attenzione di un vasto pubblico e non solo dei fan della celebre coppia criminale.

E a questo punto inizio il mio viaggio, analisi ed insieme indagine interiore del film Diabolik.

La storia è ambientata alla fine degli anni Sessanta e la prima cosa che colpisce è proprio l’accurata ricostruzione della scenografia, strade ed edifici, come anche dei vestiti, trucchi, oggetti di uso quotidiano. Non c’è una sola cosa che non rimandi a quel periodo. Addirittura, il modo di parlare, il comportamento dei personaggi del film sono identici o quasi a quello delle persone adulte in quell’epoca.

L’effetto che si produce è straniante, soprattutto per chi, come lo scrivente, era bambino nei primi anni Settanta. È come se avessi rivisto, cinquanta anni dopo, con gli occhi di un adulto, il mondo di quando portavo i pantaloni corti.

Certo la tecnologia utilizzata in quel periodo è oramai datata, ma l’idea di ambientare la storia in un’epoca oramai lontana si è rivelata vincente. Se il film fosse stato collocato ai giorni nostri, Diabolik finirebbe per assomiglierebbe troppo al protagonista di Mission Impossible. Senza considerare che alcune delle sue invenzioni potrebbero non funzionare più. Ad esempio, non è detto che la maschera riuscirebbe ancora ad ingannare alla perfezione le persone.

La storia (in realtà la fusione di due diversi episodi del fumetto) si ispira soprattutto al primo Diabolik, quello più spietato e glaciale, che non esita ad uccidere pur di raggiungere i suoi obiettivi. A livello narrativo, dopo un avvio lento, la storia prende ritmo, ci sono dei colpi di scena, flash back che aiutano a capire che cosa sia veramente accaduto (vedi la fuga di Diabolik) e a livello di montaggio l’utilizzo di alcune inquadrature e movimenti di macchina per velocizzare e drammatizzare la situazione.

In comune con la precedente opera, questo film è un duro attacco al potere e alla classe politica, vista come corrotta e corruttrice, a una élite misogina e classista, insomma delle finte brave persone duramente punite da un vero cattivo.

E se di persone dobbiamo parlare, l’attenzione va agli attori del film, sia protagonisti che figure secondarie. Elisabeth, il viceministro Giorgio Caron e il direttore del carcere sono figure simbolo di un certo ruolo sociale: la donna fragile e sottomessa, l’uomo di potere corrotto, il burocrate servile e irresponsabile.

Niente in confronto ai tre protagonisti principali dell’opera: Diabolik, Eva Kant e l’Ispettore Ginko, simboli assoluti del male e del bene, ognuno ligio fino in fondo alle proprie regole. L’onore e l’onere di rappresentarli è toccato rispettivamente a Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea, una terna ben azzeccata, anche se la figura più inquietantemente realistica è proprio quella di Eva Kant. Si potrebbe affermare che Miriam Leone sia Eva Kant, nel senso che ha saputo interpretare così bene il ruolo di donna seducente, sensuale e glaciale al tempo stesso, da essere uguale se non addirittura superiore al personaggio del fumetto.

Forse questa recensione potrà apparire troppo entusiasta, ma era da qualche anno che non vedevo un film italiano così curato. Se me lo permettete, parafrasando una strofa della canzone “La profondità degli abissi” di Manuel Agnelli (a proposito ben riuscita anche la colonna sonora!), “C’è chi insegue il suo grande amore”. Nel mio caso un buon cinema d’autore.

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Diabolik

Italia, 2021, 133 min.

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3 pensieri riguardo “Al cinema: Diabolik, dei Manetti Bros.

  1. Non sai quanto sia felice di leggere questa recensione! E’ un film che andrò a vedere con aspettative molto alte e avevo paura potesse essere una cocente delusione; sono contento di sapere che non è così!

  2. Adoro Diabolik e avevo letto così tante recensioni negative al film che mi ero demoralizzata.
    Poi due giorni fa sono finalmente riuscita ad andare al cinema, seppur con aspettative dimensionate, e mi sono proprio divertita!!
    Dopo aver letto così tanti fumetti, nonché la biografia delle Giussani, il film me lo sono proprio goduto. Miriam Leone bravissima, a mio avviso vera protagonista del film, credo avrebbero apprezzato anche le due mitiche sorelle mamme di Diabolik!!

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