Su Netflix: Red Notice, di Rawson Marshall Thurber

Excusatio non petita. Le scuse non richieste sono sempre più presenti nei film ad alto contenuto di improbabilità per giustificare le forzature di sceneggiatura, quelle che generalmente portano il pubblico a storcere il naso e ad agitare ritmicamente il ditino in aria ergendosi a guardiano della coerenza logico-temporale-narrativa. E quindi gli sceneggiatori, per prevenire qualunque possibile rimostranza, anticipandola, hanno iniziato sistematicamente a inserire battute e battutine che giustifichino a priori qualunque ipotetica incongruenza. Il risultato potrebbe sconfinare nel riconoscimento di un’arguzia sopraffina (da parte di chi, in realtà, a quei controsensi non ci aveva neanche pensato) e invece, nella stragrande maggioranza dei casi, quelle excusationes si risolvono in spiegoni mascherati o battute che anticipano spiegoni mascherati. E in certi casi, in spiegoni non richiesti.

In Red Notice, una delle ultime fatiche Netflix nell’ambito action, il momento clou in tal senso arriva quando i Nostri si trovano in un bunker nazista nel bel mezzo della giungla argentina (che è già un bel motivo per sprecare un “wtf!”). Ebbene. Come hanno fatto i nazi a portare un’auto blindata in un bunker sotterraneo apparentemente accessibile soltanto da una scaletta a chiocciola che a malapena consente di passare a Dwayne “the Rock” Johnson, si chiede l’altro protagonista, Ryan “Deadpool” Reynolds? E prima ancora, quando si accendono le luci del bunker, lo stesso Reynolds pronuncia una battuta che suona più o meno così: “vedo che non hanno smesso di pagare le utenze qui”…

Prevenire le rimostranze dei precisini. A ciò servono frasi come queste. E infatti, subito dopo, “the Rock” si lancia con gli spiegoni. Sull’esistenza di un impianto idroelettrico sotto il bunker. Sul fatto che quel bunker è in realtà il terminale di una rete di gallerie di una vecchia miniera di rame.

Spiegoni che anticipano altri spiegoni, quelli del finale, che intervengono a sbalordire lo spettatore per spieg(on)are ciò che è altrimenti inspieg(on)abile. Spiegoni che ovviamente sottintendono mosse repentine compiute sotto gli occhi dello spettatore e non viste, o gesti che facevano intendere una cosa e che invece erano stati fatti “proprio per” confondere (noi o) i protagonisti/coprotagonisti o i cattivi di turno.

Un classico. Niente di nuovo. Il fatto è che ciò che sorprendeva quarant’anni fa in Indiana Jones o James Bond oggi si risolve in un drammatico e costante dejavu. Gli unici che possono restare sbalorditi sono soltanto coloro la cui cultura cinematografica si ferma agli ultimi cinque-dieci anni o coloro a cui tutto ciò basta e avanza, perché tanto finito il film e whatsappato un commentino compiaciuto all’amico di turno, tutto termina lì. Il che è preoccupante perché (a) è sintomo della nostra età che avanza e perché (b) è l’ennesima riprova di quanto noi cinefili ci si prenda fin troppo sul serio.

Ma poi che vogliamo? Netflix non vuole certo fare la storia del cinema con questi prodotti. Al massimo punta ad avere qualche milione di abbonati in più da sbandierare alla prossima trimestrale, quella in cui gli analisti si aspetteranno un incremento di 10 milioni e invece Netflix arrancherà perché ne avrà fatti solo 8 e mezzo (numeri a caso). Non che se il film fosse stato un più tradizionale prodotto da sala distribuito da una major le cose sarebbero cambiate, ovviamente. Lì l’obiettivo sarebbe stato la colonnina degli incassi al botteghino. Né più né meno.

Con Red Notice Netflix ha voluto mietere un nuovo record, andando a produrre quello che è il film finora più costoso della sua relativamente giovane storia. Buona parte dei quali – immaginiamo – distribuita ai tre divi di turno (i due già citati e la fascinosa Gal Gadot, che si permette di scimmiottare la sua alter ego Wonder Woman). Una parte destinata a Ed Sheeran per rendersi ridicolo nel finale. E il resto per far esplodere cose.

Un budget in (minima) parte finanziato – anche qui: immaginiamo – dalla Regione Sardegna, che per comparire a caratteri cubitali nel classico finale in cui i protagonisti si godono la loro condizione di neomiliardari in paradisi da sogno, probabilmente avrà dovuto mettere mano al borsello (a differenza delle altre location, tra cui Roma, che invece i soldi se li saranno presi per il disturbo, che non sarà stato da poco). Lo si potrebbe desumere dal fatto che solitamente in quei finali ci sono i Caraibi, le Bahamas, le Antille. E invece qui ci troviamo sbandierato a tutto schermo un SARDINIA, che all’americano medio dirà poco o nulla, bravi come sono in geografia.

Sul film che altro dire: solita trama spy-action e vaghi rimandi storici (da Cleopatra all’immancabile Terzo Reich). Insomma, Indiana Jones e James Bond che si fondono per le nuove generazioni. Botte, inseguimenti (nel bunker saltano fuori anche due blindati, giusto per dare un tono corazzato alla sequenza in stile Fast & Furious). Corride con tori in digitale che non è che facciano proprio gridare al miracolo (avete speso 200 milioni di dollari e non mi fate gridare al miracolo per i vfx? Questo è grave!).

Insomma, Netflix era alla caccia di record e il record l’ha avuto: il film è diventato il più visto della piattaforma a neanche venti giorni dall’uscita. Prepariamoci al sequel (già ampiamente telefonato nel finale) e al sequel del sequel. Perché Netflix non spende mica 200 milioni di bucks per due ore di film che finisce lì e stop.

È la serialità mascherata da lungometraggio. Ormai si fanno dei pilota di nuove saghe investendo quelle cifre lì, bisogna farsene una ragione.

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Red Notice

Usa, 2021, 118 min.

6 pensieri riguardo “Su Netflix: Red Notice, di Rawson Marshall Thurber

  1. Nonostante il cast mi attirasse molto me ne sono tenuto alla larga dopo aver letto un sacco di recensioni dal dubbioso al negativo, e la tua conferma questo trend. Ormai è evidente che Netflix ha scelto, come politica e come identità, di produrre per lo più Blockbuster per il grande pubblico, sia per quanto riguarda i film che le serie tv, il che non è necessariamente sbagliato (la maggior parte del cinema che consumo io è di questo tipo) ma è molto più preoccupante il fatto che il pubblico non sappia riconoscere riferimenti a film di trenta o quarant’anni fa. Per il resto, il fatto di sentirsi in dovere di spiegare ogni minima cosa mi dà l’idea di un film molto insicuro, come una persona che chiede costantemente scusa anche quando non fa nulla di male.

    1. sì, è vero, Netflix punta quasi esclusivamente ai prodotti per il grande pubblico o a quelli di genere (horror, thriller, kids)…
      e poi nel mare magnum ci mette anche due-tre film all’anno di qualità, film d’autore più o meno riusciti ma sicuramente che hanno quel taglio, per puntare ai premi e farsi una reputazione…
      è così dall’anno di Roma di Cuaron e quest’anno non ha fatto eccezione…

  2. La sola presenza di The Rock esercita su di me un’infausta compulsione a vedere qualsiasi “cosa” in cui appaia quest’omone. Non so perché ma sento che se gli abitassi vicino, diventerei suo amico 😂😂😂. Non mi meraviglia quindi che la tua recensione sia del tono tra il “meh” e il “mah”. L’importante è tenere basse le aspettative 😜

    1. Sì chiaro, bisogna avvicinarsi con aspettative basse e in maniera spensierata… Almeno ci si diverte…
      The Rock a suo modo è magnetico, ma poi questo fatto di far fare a lui gli spiegoni è decisamente esilarante

Commenti

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