Su Netflix: Don’t Look Up, di Adam McKay

Mancava praticamente solo la mia voce a unirsi al coro che ha accompagnato l’uscita di Don’t Look Up su Netflix, lodandolo o criticandolo aspramente a seconda di quanto ci si sia sentiti punti sul vivo dalla satira di Adam Mckay. Certamente non si tratta di un film leggero o da guardare passivamente mentre si elabora il pranzo di Natale, per cui ho molto messo in discussione, a posteriori, la scelta di vederlo a capodanno dal momento che sarebbe stato lecito inaugurare il 2022 con qualcosa di più positivo; visto però l’andamento che quest’anno ha già preso, non mi sembra così fuori luogo iniziarlo con un approfondito esame del perché facciamo tutti così irrimediabilmente schifo

La trama ormai la conosciamo tutti. La dottoressa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), studiando le profondità dell’universo, scopre un oggetto in rapido avvicinamento verso la Terra; studiando la sua traiettoria insieme al dottor Randall Mindy (Leonardo di Caprio), scopre che il due corpi sono destinati a scontrarsi tra circa sei mesi, con la conseguenze sicura estinzione di tutte le forme di vita sul pianeta. Gli scienziati danno immediatamente l’allarme, ma tra i calcoli di una politica più interessata alle elezioni che alla sopravvivenza, la superficialità di un sistema d’informazione più interessato agli ascolti che alle notizie e il generale disinteresse di una popolazione che non si preoccupa di una minaccia invisibile il tempo passa senza che nessuno, drammaticamente, faccia nulla; finché non è troppo tardi

Mi sono reso conto, durante la visione, di essermi approcciato a Don’t Look Up con aspettative distorte. Nel tempo trascorso tra l’uscita del film e il momento in cui effettivamente l’ho visto ho letto molti articoli, recensioni e semplici opinioni che lo definivano come una satira sull’uomo nel periodo della pandemia, una metafora per raccontare cosa siamo diventati a contatto con questo evento catastrofico che condizionerà ancora per molto tempo il nostro modo di percepire e vivere il mondo. Però, guardando il film, qualcosa non mi tornava: certo, la chiave di lettura del Covid si adattava molto bene a quello che McKay stava raccontando, eppure c’erano sempre delle note stonate, delle scene che non erano coerenti con quella che avrebbe dovuto essere l’interpretazione che mi era stata data. In seguito, leggendo la storia della produzione del film, ho scoperto che Adam McKay aveva in mente di realizzare una satira incentrata sulla reazione globale al cambiamento climatico, e che solo in un secondo momento, complice la situazione mondiale, è subentrata l’interpretazione relativa alla pandemia. Questo per dire che ovviamente una metafora si presta a tantissime interpretazioni personali diverse, ma è sempre importante tenere presente cosa il regista volesse dire, soprattutto quando offre una comprensione finalmente chiara e inoppugnabile di quale fosse il suo intento. 

Don't Look Up" di Adam McKay - NonSoloCinema

Che si parli di pandemia o dell’emergenza climatica, comunque, la sostanza non cambia molto dal momento che l’obiettivo di Don’t Look Up è mettere in scena quanto sia progredito l’uomo lungo la strada della degenerazione. A me non piacciono le uscite come “meritiamo l’estinzione” che diventano un mantra ogni volta che qualcosa di terribile accade, penso sia un segnale di rassegnazione e la rassegnazione è soltanto un altro modo per voltarsi dall’altra parte e non fare assolutamente nulla mentre il mondo continua ad andare in rovina; tuttavia è innegabile anche allo sguardo più ottimista la deriva che l’umanità ha preso da diverso tempo a questa parte, entrando come in un nuovo medioevo in cui la bestialità e l’ignoranza sembrano essere tornate di gran moda. Gli ultimi due anni hanno poi esasperato ulteriormente questa tendenza mettendo in evidenza, come in una fotografia dal contrasto molto forte, tanto il meglio quanto l’abissale peggio di cui siamo capaci, facendo emergere l’odio, la cattiveria, il cinismo e la generale noncuranza per il prossimo che, finora, sembravano ristretti solo a una minoranza della popolazione; una deriva, anche questa, ampiamente predetta da tante Cassandre rimaste inascoltate soprattutto per la critica che rivolgevano a un mondo virtuale e social che, alle sue origini, ci ha abbagliato con le sue infinite potenzialità prima di accogliere dentro di sé il peggio del peggio dell’umanità. 

Adam McKay mette proprio questo al centro di Don’t Look Up, un film grottesco, volgare e sgradevole perché così è la realtà che ritrae, così sono le persone di cui parla, come è già stato giustamente sottolineato in lungo e in largo da chiunque. Soprattutto, la parola chiave del film è “superficialità”: la superficialità della classe politica, che sottovaluta gli eventi che non tornano loro utili e trascurano di farsi carico delle loro responsabilità, la superficialità dell’informazione, che preferisce dedicarsi al gossip e all’umorismo invece di risvegliare coscienze, mettere in guardia la popolazione e diffondere conoscenza, e infine, ma soprattutto, la superficialità delle persone comuni, che non si interessano di nulla ma vivono in quella mediocrità che è stata loro costruita intorno e che come in un circolo vizioso finiscono per alimentare giorno dopo giorno. È questa superficialità che porta, drammaticamente, alla semplificazione di una realtà problematica, complessa e difficile da gestire, al punto da negare la sua stessa esistenza in un’operazione di mistificazione per cui non esiste più la verità ma solo delle narrazioni, non è più considerabile vero qualcosa che è accaduto – o che accadrà con certezza – ma solo quello che la maggioranza crede sia vero o quello che è piacevole considerare vero, sintomo, questo, di un’umanità sempre più infantile e non più in grado di prendere decisioni scomode e sgradevoli neppure per salvarsi la vita: piuttosto è meglio credere alle rassicuranti bugie dei politici, ai complotti che costruiscono fantasiosi retroscena o rifugiarsi nei meme, l’arma definitiva con cui nulla viene più preso sul serio e tutto si trasforma in uno scherzo, per quanto macabro. 

Don't Look Up: Leonardo DiCaprio fa la spesa nella nuova immagine del film  Netflix

Ed è quindi con uno scherzo che Adam McKay mette in scena questo desolante panorama umano, una parodia in cui non c’è proprio nulla da ridere ma che, come uno specchio deformante che esagera le nostre proporzioni, ci rimanda la nostra immagine in modo che possiamo osservarci in tutta la nostra volgare mediocrità. Don’t Look Up è un film arrabbiato, un film urgente, un film che sa di avere una lezione importante da impartire ai suoi spettatori e non ha paura di urlargliela in faccia: come la dottoressa Dibiasky durante la sua intervista, anche McKay getta al vento le buone maniere, i modi affabili, i sorrisi rassicuranti e le battute accattivanti per gridare in faccia al pubblico una verità che semplicemente non vuole sentire, ossia che proseguendo lungo questa strada moriremo presto tutti quanti. È rinfrescante trovare una voce che non si nasconde, che non si affievolisce per rendersi digeribile a tutti ma che, al contrario, non ha paura di scuotere lo spettatore per le spalle, di rendersi altrettanto grottesco quanto ciò di cui sta parlando pur di far giungere un messaggio disperato che già troppe volte, ormai, è passato inascoltato dopo un momentaneo ed effimero scalpore iniziale. È la stessa urgenza di Leonardo Di Caprio,  da sempre coinvolto in prima persona nel contrasto al cambiamento climatico e che si trova qui a interpretare quasi sé stesso trovando una voce che gli permetta di raggiungere un pubblico ancora più vasto e, si spera, più aperto ad accogliere un invito a svegliarsi che non può più aspettare.

Con questo, tuttavia, non voglio dire che si tratti di un film perfetto: è importantissimo ed è fondamentale che tutti, in questo momento storico, lo guardino, ma non è affatto, secondo me, il miglior film dell’anno come l’ho letto definito. È sicuramente troppo lungo e rischia talvolta di scadere in un eccessivo autocompiacimento anche a causa di una sceneggiatura non sempre perfettamente cesellata e che nel suo voler pestare sempre di più sul pedale della satira a un certo punto perde il senso della misura e finisce per risultare ridondante. La figura di Trump è nascosta sotto un sottilissimo strato di finzione narrativa ed è sempre perfettamente riconoscibile sotto il trucco di Meryl Streep, che si prende la sua rivincita nell’interpretare il presidente con cui ha avuto più di un feroce battibecco nel corso del di lui mandato, ma il desiderio di metterne sempre più in ridicolo la scarsa lungimiranza e le discutibili scelte politiche finisce a un certo punto per scadere nel didascalico. Sono imperfezioni e sbavature che nulla hanno a che fare con il messaggio del film quanto piuttosto con l’abilità artistica messa in campo per dare vita al film, che per quanto urgente rimane sempre un lavoro d’arte e in quanto tale meritevole della più alta attenzione da parte di chi lo realizza, mentre mi è sembrato che spesso si sia preferito levarsi un sassolino in più dalla scarpa piuttosto che rifinire per bene il lavoro finale. 

Gli utenti di TikTok svelano un grande errore di editing nel film Don't  Look Up

Detto questo, Don’t Look Up rimane, come già detto, un film fondamentale che tutti devono vedere e da cui tutti devono lasciare turbare, amandolo o odiandolo per questo a seconda dell’indole di ognuno. Sono convinto che sarà anche uno dei grandi protagonisti della prossima Award Season, sebbene sia rimasto a bocca asciutta ai Golden Globes, per cui ne sentiremo ancora molto parlare – ma il fatto che abbia chiuso questo articolo con una frivolezza futile come i premi parlando di un film così urgente mostra molto bene quanto sia importante guardarlo per rendersi conto di quanto subdolamente la superficialità sia in grado di insinuarsi in qualsiasi tipo di discorso distogliendo l’attenzione dai temi davvero importanti. 

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Don’t Look Up (Stati Uniti, 2021, 138′)

Regia e sceneggiatura: Adam Mckay

Fotografia: Linus Sandgren

Musica: Nicholas Britell

Interpreti principali: Leonardo Di Caprio (dott. Randall Mindy), Jennifer Lawrence (dott.ssa Kate Dibiasky), Rob Morgan (dott. Clayton Oglethorpe), Meryl Streep (presidente Janie Orlean), Jonah Hill (Jason Orlean), Cate Blanchett (Brie Evantree), Mark Rylance (Peter Isherwell), Timothée Chalamet (Yule), Ron Perlman (colonnello Ben Drask).

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8 pensieri riguardo “Su Netflix: Don’t Look Up, di Adam McKay

  1. Ho visto “Don’t Look Up” qualche giorno fa, spinto dalle decine e decine di commenti, recensioni o semplici parerei letti in rete. Devo dire che non mi ha convinto, in parte proprio per i motivi che elenchi tu: è eccessivamente lungo, la sceneggiatura è ridondante e alcune parti sono fin troppo didascaliche. Aggiungo che la scena finale (quella ambientata nel futuro remoto) è veramente terribile; essendo l’ultima cosa vista nel film, credo abbia spinto verso il basso il mio giudizio 😀

    Credo in ogni caso che la polarizzazione dei giudizi (capolavoro da un lato, film orrendo dall’altro) che ha caratterizzato le ultime settimane sia eccessiva. A me è sembrato un film senza infamia e senza lode, una via di mezzo che sembra quasi non contemplata da molti commentatori.

    PS: di Adam McKay apprezzai tantissimo “La grande scommessa”. Qui non ho ritrovato la stessa brillantezza nella scrittura, vero punto di forza di quel film

    1. La polarizzazione dei giudizi mi sembra ormai un problema abbastanza diffuso non solo per Don’t Look Up, ma per qualsiasi cosa esca: o si tratta di un capolavoro o di sterco fumante, non esiste più un buon film che si lascia guardare con piacere per un paio d’ore ma deve sempre esser un giudizio estremo. Finché è la pubblicità ad abusare della parola capolavoro fa parte del gioco e ci sta, ma quando è la critica allora è sicuramente da prendere di più con le pinze.

      Anche a me la scena finale non ha convinto per niente, e oltretutto dà ragione ai complottisti che “ci lasciano qua a morire mentre LORO hanno le astronavi fantascientifiche per scappare”. Insomma, in tutti i modi se ne poteva fare a meno e lasciare presidente e compagnia bella a morire sulla Terra insieme agli altri; anche perché, tolta la metafora, sarebbe quello il loro destino.

      Anche a me La Grande Scommessa è piaciuto moltissimo, io non capisco molto di economia ed è grazie a quel film se so un po’ di più cosa è successo nel 2008.

  2. Concordo su molti punti con te, complimenti per la tua sempre accuratissima recensione !! Non è un film perfetto sicuramente ma necessario questo si. I suoi punti di forza (a parte il messaggio principale ovviamente) per me sono le interpretazioni degli attori assolutamente geniali come ad esempio Cate Blanchett che non avevo subito riconosciuto ! E poi ho adorato la colonna sonora che trovo particolarmente azzeccata e additiva !

    1. Mamma mia, nemmeno io ho riconosciuto Cate Blachett sul momento! Ma ho anche il problema che non importa quanti film faccia, il mio riferimento per lei è sempre Galadriel per cui quando leggo il suo nome mi aspetto sempre di vedere una regina elfica da qualche parte!
      La colonna sonora purtroppo non me la ricordo, e anche questo è un mio problema perché difficilmente la musica mi rimane impressa e di solito me la dimentico quasi subito. Mi ricordo però la canzone di Ariana Grande, che mi è piaciuta molto!

      1. Eh eh, si Cate Blanchett è un mito ! Vai a cercare il tema principale della colonna sonora di Nicholas Britell “Main title suite” anche se tutte le canzoni sono stupende !

  3. gran disamina, ti lascio alcuni pensieri sparsi:
    1. mi ha colpito innanzitutto leggere (non ricordo dove) di come questo film possa essere interpretato in un modo e nel suo opposto… mi spiego: la metafora covid l’hai già menzionata, ma il fatto incredibile è che il film si sia prestato a letture favorevoli a tesi sia scientifiche che antiscientifiche. Da un lato sembra chiaramente mostrare la miopia dei no vax e soprattutto quella dei negazionisti, per i quali l’asteroide (leggasi: il virus) non esiste. Ma dall’altro lato, chi appartiene a una di queste fazioni si è clamorosamente sentito in diritto di pensare che il film mostrasse invece la miopia delle masse (e la malafede delle istituzioni e dei media) che crede al virus e ai vaccini e non ai pochi scienziati saggi anti-sistema che hanno provato a lanciare l’allarme (contro il pericolo vaccini, contro presunti complotti), rimanendo inascoltati… forse bisognava essere ancora più espliciti? forse sì…
    2. il personaggio di Meryl Streep è chiaramente un Trump al femminile, ma forse, proprio per questo, il film sarebbe stato più ficcante se fosse uscito in era Trump… in ciò Borat 2 è stato più coraggioso e tempestivo… insomma, si rischia di far passare un uomo di potere ben preciso come la rappresentazione dell’uomo di potere medio…
    3. dal punto di vista stilistico, ma anche narrativo, McKay era andato decisamente meglio in La grande scommessa e Vice… questo film è un po’ anonimo dal punto di vista strettamente cinematografico… sì, ha portato un gran dibattito, ma come opera filmica è abbastanza trascurabile… è un po’ quel che accadeva con i film di Michael Moore (che però erano meno fiction e molto più documentary)…

    1. Il punto 1 è verissimo, e lo so per esperienza diretta. Forse è una metafora costruita in modo tale da rivelare molto anche di chi la interpreta in base a quello che ci vede, sarebbe uno studio molto interessante ma è anche per questo motivo che, man mano che procede la visione, il riferimento al Covid mi convinceva sempre meno: non mi sembrava un film che volesse essere ambiguo in alcun modo, per cui il problema doveva essere la chiave di lettura.

      Per il punto 2 il problema, secondo me, è che la figura di Trump è diventata talmente ingombrante, a livello di immaginario, che ci vorrà molto tempo per scrollarselo di dosso. Se prima, per identificare qualcuno immediatamente come cattivo, gli si metteva una svastica da qualche parte, oggi per farci capire che un personaggio è cattivo o sgradevole gli si mette un cappellino con scritto “Make America Great Again”; lo fa anche Stephen King nei suoi libri più
      recenti, e ormai è diventato un mezzuccio abbastanza pigro. In questo caso non ho dubbi che Meryl Streep abbia anche volutamente enfatizzato la sua interpretazione come un gigantesco dito medio sbattuto in faccia a Trump facendo in modo di essere perfettamente riconoscibile; è anche a questo che mi riferivo quando dicevo che il film sembra essere interessato più a sistemare dei conti rimasti in sospeso che ad argomentare per bene la propria tesi.

  4. Sono pienamente d’accordo. Secondo me la sintesi del film è nel commento finale, a tavola “Abbiamo tutto”. Abbiamo tutto, ma non siamo disposti a rinunciare nemmeno a una virgola. E quindi …

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