Al cinema: Licorice Pizza, di Paul Thomas Anderson

Quando dici P.T. Anderson dici uno dei registi più apprezzati dai cinefili contemporanei. Da cui l’hype per un film come Licorice Pizza, forse il più atteso del primo semestre di quest’anno, almeno per quanto riguarda il cinema d’autore anglo-americano.

Spostare l’asticella sempre più in alto è difficile innanzitutto per lo stesso regista, atteso al varco dopo un capolavoro come Il filo nascosto e dopo aver dimostrato di saper spaziare abilmente tra temi, ambientazioni, periodi storici.

Licorice Pizza è innanzitutto un film straordinario dal punto di vista registico, girato magnificamente pressoché in ogni sequenza. A partire da quella iniziale in cui vengono presentati i due ottimi protagonisti, una slanciatissima (e lanciatissima) Alana Haim e il figlio di Philip Seymour Hoffman, Cooper, che di questo passo si toglierà ben presto l’etichetta non sempre così piacevole di figlio d’arte per consacrarsi quale giovane promessa del panorama attoriale maschile americano.

La loro storia inizia in quel momento e si conclude nel finale, forse nell’unica sequenza (apparentemente) un po’ banale di un film che nel complesso invece non è per nulla banale, nonostante la relativa scarsa originalità dei temi trattati: il sogno americano, il primo amore.

Quella corsetta del finale, tuttavia, la si perdona eccome, considerato che dal punto di vista registico il film, fino a quel momento, praticamente non sbaglia una virgola, tra inquadrature, attori diretti sempre alla perfezione, ritmo, gestione dei tempi narrativi.

In certi momenti sembra quasi di trovarsi di fronte a una versione aggiornata e moderna (ma non post-moderna) de Il laureato, con un po’ più di intraprendenza imprenditoriale (quella del protagonista) e un po’ meno di gravitas, di indolenza e di pigrizia. Con i materassi ad acqua e i flipper al posto della famigerata plastica.

Non siamo in ogni caso di fronte a un capolavoro come Il filo nascosto (o come Il laureato), dove la regia da sola – e in particolare la sua incredibile potenza estetica – riusciva a catturare e rapire completamente i sensi. Qui la narrazione ha un peso importante, quasi preponderante, che tiene botta nonostante i temi per l’appunto ritriti (come detto: sogno americano, storia d’amore giovanile).

Ciò in cui la scrittura davvero eccelle è nella costruzione di personaggi secondari godibilissimi (il Jack Holden di Sean Penn, il Jon Peters di Bradley Cooper) e nella caratterizzazione dei personaggi principali, in particolar modo quello femminile, che attraverso la continua fascinazione e delusione nei confronti dei soggetti maschili (il protagonista e poi i personaggi secondari interpretati da Penn e da Benny Safdie) compie il suo percorso di crescita che la porterà infine al punto di partenza.

Licorice Pizza è grande cinema, con momenti straordinari accompagnati da una altrettanto grande colonna sonora (come la sequenza della crisi petrolifera – guarda caso così attuale – sulle note di Life on Mars? di David Bowie). Un cinema che punta diritto al cuore e alle emozioni, e in particolare al cuore dei giovani, ben più che alla testa e alla memoria dei meno giovani.

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Licorice Pizza, di Paul Thomas Anderson

Stati Uniti, 2021, 133 min.

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