Su Netflix: Love and Monsters, di Michael Matthews

Di storie con un protagonista fifone che diventa l’eroe suo malgrado ok, ce ne sono a bizzeffe, sotto questo profilo niente di nuovo. Però dai, ci sono anche quei sentieri nel bosco che hai percorso mille volte, eppure ogni volta c’è qualcosa di magico e di diverso. No? Generalmente, la gioia di una ripetizione saporita mette insieme la nostra esigenza di gravitare attorno a una comfort-zone a quella di esplorare nuovi territori (del tipo: cerco un po’ d’Africa in giardino). Fatta questa premessa, dalla quale avrete facilmente intuito che tra i pregi di questo film non figura l’originalità del soggetto, ci chiediamo: quali potrebbero essere dunque gli ingredienti per rendere più sfiziosa la proverbiale “minestrina” del post-apocalittico sottogenere survival-comedy? Proviamo a stilare un elenco (scusate il plurale maiestatis, mi è sempre piaciuto).

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Su Netflix: Highwaymen – L’ultima imboscata, di John Lee Hancock

Vedere Kevin Costner con le rughe a raggiera attorno agli occhi fa un certo effetto a chi, come me, lo ha visto giovane, gigione e rampante sul grande schermo. Il sex symbol degli anni ’90, quello meno tormentato e più “classicamente hollywoodiano”, ora corricchia con i braccini alti e guardinghi (pronti a parare ogni fatale ruzzolone) e ha il fiatone; viste le parecchie similitudini con l’altro recente noir western targato Netflix, Hell or High Water – per ambientazione, tematica e, appunto, l’eroe anziano, là interpretato da un marmoreo Jeff Bridges – verrebbe da pensare che la regina dello streaming si sia affezionata alla figura del vecchio lupo spelacchiato che ritorna, per onore e senso del dovere, ad annusare le tracce sulla pista.

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Su Netflix: La ballata di Buster Scruggs, dei fratelli Coen

La_Ballata_di_Buster_ScruggsDove spira vento di western, trovate me. Se a dirigerlo sono i fratelli Coen, lancio il cappello in aria e lo faccio ballare a suon di revolver. Quindi, non per bullarmi con chi non ha Netflix ma io questo film l’ho visto appena lo hanno caricato a catalogo, con inesprimibile gioia nel cuore. Non starò a cantare le lodi di Joel e Ethan Coen perchè li amate anche voi; sì, punto tutto sul piatto a occhi chiusi, li amate tanto quanto li amo io, questa coppia di fantastici giocolieri sospesi tra i gusti del pubblico popcorn e le pulci della critica, in grado di accontentare tutti senza perdere un grammo di qualità. La loro scelta di saltare le sale per distribuire direttamente su piattaforma questo film a episodi ha fatto parecchio discutere, fin dall’anteprima al Festival di Venezia nella succulenta edizione di quest’anno. Lasciando all’opinione di ciascuno la spinosa questione generale (lo streaming sta distruggendo il cinema o lo sta semplicemente trasformando?), nello specifico il format adottato dai due registi per questo film si attaglia senza particolare rammarico alla visione casalinga.

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Quell’assurda decina: #4 – Le avventure del Barone di Munchausen, di Terry Gilliam

la-locandina-di-le-avventure-del-barone-di-munchausen-122291Proprio così, ci sono ancora io a parlarvi di un film di Terry Gilliam, qualche alzata di pupille me la merito ma abbiate pazienza, se dobbiamo selezionare una decina di film bizz-surr-grott (copyright by Marco aka ‘tragicomix’) risulta davvero impossibile non tenere in considerazione quel suo tocco surrealista scuola Monty Python. Di Brazil ne avevamo già parlato, del suo Don Chisciotte anche; non resta che affrontare il suo gargantuesco flop, quell’opera arditamente buffonesca, quel trionfo dei trucchi da Cinecittà che passa sotto il nome di Le avventure del Barone di Munchausencostato 46 milioni di USD per un incasso domestic di poco superiore agli 8 milioni. Ma chi ha visto Lost in La Mancha sa bene di che pasta è fatto Terry e quanto poco tenga in considerazione il dare e avere della partita doppia. Del resto, a proposito del suo Munchausen dichiarò con assoluta scioltezza in una intervista a un talk show: It wasn’t my money. Thank God.

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touch of modern: Cani arrabbiati, di Mario Bava

caniarrabbiati_locandinaUna eterna maledizione stabilisce che molti grandi artisti debbano venir compresi solo dopo, da morti. Un altro adagio ancora più antico recita che nemo propheta in patria. Insomma il geniale effettista, direttore della fotografia e provetto regista Mario Bava le ha provate tutte per accontentare la severa critica italiana, ma ha sempre trovato più sopracciglia alzate che applausi. Oggi, grazie a una riesumazione globale e massiva del cinema di genere da parte della cinefilia più militante, perorata da potentissimi tycoon del calibro di Quentin Tarantino, lui come numerosi altri prìncipi del cinema di serie B è stato assurto al rango di vero e proprio oggetto di culto.

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Oldies but goldies: Gilda, di Charles Vidor (100 candeline per Rita Hayworth!)

gildaRegina incontrastata delle pin-up girls (il suo poster diventa un elemento fondamentale nel racconto Rita Hayworth and Shawshank Redemption di Stephen King, splendidamente portato sul grande schermo da Frank Darabont con Le ali della libertà), sogno erotico di ogni uomo tra gli anni quaranta e cinquanta, la bella Margarita Carmen Cansino nacque a New York il 17 ottobre 1918. Cento candeline che troveranno, tra le varie celebrazioni, una affettuosa dedica ne l’immagine della 36^ edizione del Torino Film Festival. Ottima danzatrice e talentuosa attrice, fu scoperta dal collerico produttore Harry Cohn che le impose il nome di Rita Hayworth dal cognome della madre, delatinizzazione necessaria (eh già…) per portarla alla ribalta del pubblico USA. Stella del set e della cronaca mondana, fece parlare di sè per i suoi amori (tra gli altri Glenn Ford, Orson Welles e Alì Khan, un principe diseredato persiano), il suo travolgente sex-appeal, ma anche per la sua fierezza femminile, di cui è nota una annosa, strenua resistenza alle avances del tiranno della Columbia, King Cohn. Per celebrare il suo centenario abbiamo scelto il film a cui la sua immagine resterà perennemente legata, il vellutato noir Gilda di Charles Vidor che, secondo le parole del regista stesso, voleva mostrare come l’odio fosse una emozione eccitante tanto quanto l’amore.

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Al cinema: L’uomo che uccise Don Chisciotte, di Terry Gilliam

LUOMOCHEUCCISEDONCHISCOTTE_poster_ita¡Que viva Terry Gilliam! Evviva la sua ostinata determinazione, il suo amore incondizionato per il cinema fantastico popolato da maschere e pupazzi, cartone e gesso, stracci e cianfrusaglie.  Non poteva esserci combinazione migliore di quella tra il suo stile eclettico e i toni del romanzo picaresco del Cervantes, in cui visione e follia tirano le fila della storia. E non poteva esserci impersonificazione migliore del Cavaliere dalla Triste Figura di Jonathan Pryce, credetemi ve lo dice uno che ha versato lacrime amare (sì insomma, si fa per dire) sulla mancata occasione di vedere Jean Rochefort in quei laceri panni. Era il 2002 quando uscì Lost in La Mancha, quel gioiellino di documentario (che è pure un po’ mock, ma va bene uguale) in cui vedevamo il magnifico profilo adunco dell’attore francese indossare il mitico bacile e impugnare la lancia di legno in sella a Ronzinante. Fu una chimera, una serie incredibile di iettature affossò quel progetto lasciando nel cassetto delle incompiute pure un Sancho Panza con la fisionomia zingaresca di Johnny Depp. Chissà come sarebbe stato quel film, viene da chiedersi: chissà se avrebbe raggiunto le altissime vette di questa sgargiante fenice che è la nuova opera di Gilliam.

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Oldies but Goldies: Un americano a Parigi, di Vincente Minnelli

An-american-in-Paris-posterEsattamente 100 anni fa nacque Alan Jay Lerner, nome che potrebbe dirvi poco o nulla se non siete un po’ appassionati di musical. Nell’allestimento di uno spettacolo danzante e cantante pensato e studiato per il cinema, i reparti tecnici a cui generalmente si fa riferimento sono coreografia, regia, scenografia, naturalmente le musiche; il fanalino di coda spetta alla sceneggiatura, più apprezzata nel cinema classico. Tuttavia si può scrivere una buona storia saldandola agli “invadenti” innesti coreografici, come dimostrò il paroliere Lerner il quale vinse ben due premi Oscar per Un americano a Parigi e Gigi, frecce della faretra MGM prodotti da Arthur Freed per la regia di Vincente Minnelli. Ebbene, visto che amiamo molto celebrare le ricorrenze e spesso approfittiamo semplicemente di queste per parlare dei film che amiamo, oggi vi presentiamo il mitico An American in Paris, cugino meno nobile del divino Singin’ in the rain seppure più premiato. Continua a leggere “Oldies but Goldies: Un americano a Parigi, di Vincente Minnelli”

Speciale Venezia 75: Magdalene, di Peter Mullan

magdaleneIl penultimo dei Leone d’Oro da noi selezionati per lo Speciale Venezia 75 è un film del 2002 di sangue irlandese (co-prodotto dall’italiana Eyescreen di Occhipinti) diretto dallo scozzese Peter Mullan, nome forse meglio noto come attore di retrovia (qualcuno ricorderà il losco Mother Superior in Trainspotting, che serve la siringa come a un ristorante di classe). Si tratta di Magdalene (The Magdalene Sisters) un dolente e penetrante ritratto della vita nelle terrificanti Magdalene laundries, case di reclusione tenute dalle suore per la “redenzione” di fanciulle perdute. Istituti di correzione (disgustoso eufemismo) e lavanderie intitolati alla peccatrice dei Vangeli, Maria Maddalena – figura peraltro riedificata dal recente film di Garth Davis sulla scorta delle intuizioni teologiche di Papa Francesco – questi simpatici luoghi infernali sono esistiti fino al 1996. Non proprio l’ottocento, diciamo.

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