Al cinema: La vita nascosta – Hidden Life, di Terrence Malick

Siamo in Austria, in una valle – in una valle? Sul lato di una valle dove forse fanno lo yodle, e ci sono prati prati verdi verdi e grano grano, ma tutto diagonale così \ per cui già ti immagini gli abitanti di questo villaggio abbarbicato alla montagna che la metà delle loro cose, quasiasi cosa, se la perdono appena gli cade perché rotola a fondo valle. L’inizio è assai tipico dei film di Terenzio Malick, o anzi della sua concezione dell’amore: lui e lei come dei grulli si inseguono lanciando ridolini nei prati, figlie varie e bionde spuntano intorno come dei funghi – c’è di buono che almeno qui i protagonisti non sono dei figoni assurdi con vite misere e infelici, ho appena visto il terribile e fastidioso To the wonder, non riesco a liberarmene.

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Al cinema: Gamberetti per tutti, di Cédric Le Gallo e Maxime Govare

Volevo scrivere un pezzo sul fatto che al momento in sala ci sono praticamente solo film francesi o francofoni. E io, mannaggia o’ putipù (cit Zorry Kid), li ho visti quasi tutti. Uno (L’anno che verrà) mi è addirittura partito a tradimento, ero andato a vedere un film svedese (o perlomeno ugrofinnico). Esco a chiederne conto e mi dicono “eh c’è un errore nella programmazione, quello non l’abbiamo”; quindi son rientrato e ad un certo punto un omino del cinema mi è comparso accanto e mi ha dato un biglietto omaggio. Che non so dove sia finito, ma inzomma. Beh era una merda.

Quindi dicevo che volevo, ma in realtà si sarebbe ridotto a un luogo zeppo di parole e lamentele per quanto siano brutti ormai i film di Xavier Dolan, e se non si sia a questo punto bruciato tutto il capitale di credibilità e aspettative che si era costruito coi suoi primi film al fulmicotone. Diciamo fino a Mommy? Cioè basta no? Oppure: a che punto diciamo basta? E su quanto fosse brutto pure L’anno che verrà, anche se ho sentito di gente a cui piace.

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NON Al cinema ma in streaming: Favolacce, dei fratelli D’Innocenzo

Enorme si fa una fatica, di questi tempi di non uscite cinematografiche, a trovare qualcosa di diverso dalla commedia italiana, o dal film blockbuster che mi ero bucato al cinema. Per cui, e per la prima volta perché sono tirchio, ho dato ben 8 sacchi alla sala e al film dei fratelli D’Innocenzo uscito in streaming saltando la sala. Sono abituato ad andare al cinema a circa 4, per cui 8 per un film in streaming è iperspazio. Ma sosteniamo blabla.

Siamo in un luogo dell’anima (molle) del Paese, Spinaceto, che se ho ben capito esiste, ma un po’ non esiste perché è ovunque e da nessuna parte, periferia di Roma. Del tipo ahò, ma non proprio burini. Compariva tra l’altro in Caro diario. In questa sorta di microcosmo, scaturito dalla rigorosa disposizione delle villette a schiera, si susseguono alla rinfusa le storie di tre famiglie, più qualche personaggio satellite.

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contemporary stuff: Castaway On The Moon, di Hae-jun Lee

Oh, anche qui, si chiamano tutti Kim. Kome non adorare i Koreani. In principio, Kim è uno sfighimpiegato, vagamente s’intende che ha perso il lavoro impettito e la tipa l’ha lasciato, insomma, una giornata di merda. Siamo a Seul, che dev’essere un bel posto sotto certi punti ma sotto altri no: Kim sale su un ponte sul fiume Han e si butta. Malheureusement, o per fortuna, visto che non son passati 5 min, non muore, e si risveglia tempo dopo su una spiaggia. La corrente lo ha trascinato su di un isolotto disabitato e incolto, cui poggia uno degli altissimi piloni di un ponte. Come un naufrago nell’oceano, ma a mezzo chilometro dalla civiltà, pur non potendola raggiungere. Ovviamente il cellulare è scarico e lui non sa nuotare. Mi impicco alla cravatta? Poi ci ripensa, e comincia a mangiare funghi. Per settimane mangia funghi, e ci ripensa. Inizia a trasmutare, dal civile al naturale: non si sta poi così male, quaggiù. Il fiume porta mille violini suonati dal vento, e regali di spazzatura riutilizzabili, tra cui una barchetta a forma di papero sorridente, da trasformare in giaciglio. Nella solitudine ritrova il piacere delle cose piccole e blabla, e decide di piantare del grano per ottenere della farina per cucinare dei noodles. Dove trovare i semi per il grano se non nel guano degli uccelli? E così via, sempre più Robinson C, con all’orizzonte lo skyline della città. Sì ok, i palazzi, i vetri e tutto, ma stammi lontano.

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contemporary stuff: Parada, di Srdjan Dragojevic

Durante le guerre in ex-Jugoslavia ogni popolo, serbi, croati, bosniaci e albanesi kossovari, aveva un insulto per gli altri. Tutti però, ci dice il prologo, usano la medesima parola per definire gli omosessuali. Traduciamola grosso modo con “checche”. Checche è la parola più usata del film, non hai idea di quanto sia usata, e finalmente un film sulle checche senza pietismo e gente triste complessata che fa difficili e strazianti coming out, il che sì, ok, ci sta, però ha anche un po’ rotto il cazzo. Francamente, io i festival del cinema LGBT non li reggevo più, eran tutti film uguali – e non è che tutti siano Xavier Dolan.

Sebbene ci sia comunque il personaggio che incarna tutto ciò, Mirko, pettinato malissimo e organizzatore di matrimoni, nonché attivista gay alle prese con l’organizzazione del primo Gay Pride di Belgrado. Contesto: appena voi checche provate a organizzare qualcosa di simile, dalle fogne usciamo in centinaia, se non migliaia, di dio-right-patria-skinhead-famiglia-nazi e vi riempiamo di botte. Che fare? La polizia, corrotta, gli ride in faccia e gli promette di non difenderli.

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Al cinema: Memorie di un assassino, di Bong Joon-ho

Parasite ha vinto, e questo fatto che tutti ora parlino di film coreani è molto, molto cool. E si elettrizzano per i momenti di iperviolenza, ma quanto sono pucci? Grazie a Hollywood che, per una convenienza sua che evidentemente prima non c’era, ha premiato il film di Bong Joon-ho, e tralasciamo il fatto che il cinema coreano spacca il culo a tutti dagli anni 2000 e io è almeno da Primavera estate autunno inverno… e ancora primavera che propongo (la proposta non ha mai varcato la soglia di camera mia) di deviare tutti i soldi del cinema italiano al cinema sudcoreano. Tra l’altro, ho trovato il modo di saper pronunciare il nome di questo regista, e fare la figura dei fighi negli ambienti trendy e/o radical chic, basta pensare che si sta dicendo “buongiorno!” BONG JOON-HO, KAFFE’’?!?1’1?

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Al cinema: Sorry We Missed You, di Ken Loach

Ennesimo film #maiunagioia di un allegro inverno – l’altro è A marriage story, il film che sto sconsigliando di vedere a tutte le persone accoppiate: incluso il protagonista Ricky, roscio molto this is England, che dopo anni di lavori nell’edilizia e sulla scia della crisi del 2008 si butta nella gig economy, chiede alla moglie Abby di vendere la macchina per poter comprare un furgone ed entrare nel rutilante mondo dei corrieri Amazon, dove ognuno è come se lavorasse in proprio; nel senso che tutti i cazzi sono suoi ma ha comunque qualcuno dall’alto (il capo spesso e cattivo del magazzino di spedizioni e l’onnipresente scanner elettronico) che regolano la sua vita. A te i rischi, a noi il guadagno. Amazon non è ovviamente citata. Abby fa l’infermiera a ore, in giro per tutta la giornata a ripulire/aiutare vecchi e disabili, a cui vuole anche un po’ di bene. Che in questo mondo qua mh, signò, non so se sia consentito. Abbiamo due figli, Seb, bravo ragazzo ma very stupido (del resto già il padre non è una cima), appassionato di bigiare scuola e graffiti, e Liza Jane, 11 anni. Genio. Per me la famiglia doveva riunirsi, e poi far decidere tutto a lei, che è l’unica sensata. Pure sulla Brexit, doveva votare solo lei. Io con Liza Jane ho pianto.

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touch of modern: Santa Sangre, di Alejandro Jodorowski

Fenix è Cristo-like, e sta appollaiato su di un trespolo in una bianca stanza. Ha un’aquila tatuata sul petto e scende solo per mangiare pesce crudo, offerto da dottori e infermiere. Balzo indietro, da piccolo viveva in un circo con il padre, Orgo, grande grosso ciula e baloss, lanciatore di coltelli e capo della baracca, e la madre, Concha, trapezista e sacerdotessa di una chiesa non riconosciuta dedicata a una martire cui erano state amputate le braccia dai suoi stupratori – da cui il titolo, la piscina di acqua rossa davanti alla statua della santa. E a una ragazzina muta e mima, Alma, cui voleva gran bene. Ah, tra lo strepitio e le chitarre dei fedeli, la chiesa viene salvinianamente ruspata.

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Al cinema: La Belle Époque, di Nicolas Bedos

Pensavo a come sarà triste, e se ci arriviamo, quando non ci sarà più l’ennesimo riconoscibilissimo prima del film trailer del prossimo Woody Allen. Basta sentire 8 parole, io manco li guardo i trailer.

Siamo a Pa-boh-Francia, Marianna (Fanny Ardant) e Victor (Daniel Auteuil, che compete nel prestigioso contest per il cognome contenente il maggior numero di vocali) sono una coppia agée, e bisticciano in continuazione. Lui è un fumettista disoccupato e odia la tecnologia, oltre alle stupide serie tv prodotte dal figlio uscito da una pubblicità californiana, e si lamenta della metà di tutto. Lei è psicologa con tanta voglia di vivere, come si dice nelle descrizioni in chat, ama viaggiare e scoprire cose nuove e blabla, odia lui, si addormenta con gli occhiali VR addosso e si fa sbattere dal migliore amico di Victor, che per inciso lo ha anche licenziato.

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