
Sono anni frenetici per Kenneth Branagh, che salta da un progetto all’altro come un’ape iperattiva da un fiore al successivo: con quasi un film all’anno, Branagh ha spaziato dal fiabesco al murder mistery, dal dramma storico all’urban fantasy, dal whodunit al dramma autobiografico di cui stiamo per parlare. Una produzione decisamente eclettica, quasi schizofrenica, che rende difficile inquadrare il lavoro del regista sotto un comune denominatore che non sia, il più delle volte, l’omaggio a grandi autori della letteratura inglese, come William Shakespeare o, più recentemente, Agatha Christie, e che ora si arricchisce di un tassello nuovo, profondamente personale, che prende prepotentemente le distanze dal grande cinema hollywoodiano a cui il regista si è dedicato negli ultimi anni: Belfast è infatti, in confronto, un film molto più piccolo e modesto, ma non per questo insignificante dal momento che Branagh lo usa per raccontarsi ed esplorare una parte fondamentale della sua storia personale.
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