Wes Anderson compie 50 anni: vita e opere dell’autore più hipster di Hollywood

MV5BMTY1MjgzODIwNF5BMl5BanBnXkFtZTcwNTM2NzExMw@@._V1_UY317_CR10,0,214,317_AL_Tagliare il traguardo del mezzo secolo è sempre un momento importantissimo nella vita di una persona, in cui, oltre a festeggiare come si deve, immagino sia inevitabile fermarsi un secondo e tirare le somme di una vita che ha già compiuto un buon numero di giri intorno a una stella. Oggi compie 50 anni Wes Anderson, probabilmente l’artista più hipster di Hollywood, uno degli autori dallo stile più immediatamente riconoscibile grazie alle peculiari palette cromatiche cui ci ha abituato e alle sue fiabe spesso agrodolci. Nell’unirci tutti a fargli i migliori auguri di compleanno, ho deciso di addossarmi l’onere di ripercorrere la carriera di questo grande artista, facendo il punto sui suoi traguardi e sulla sua speciale poetica; per l’occasione ho finalmente colmato anche le ultime lacune della sua filmografia recuperando tutti i suoi film e, soprattutto, i corti; te li consiglio, sono deliziosi!

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Al cinema: L’Isola dei Cani, di Wes Anderson

isola_cani_locWes Anderson è arrabbiato. Ma non irritato, proprio furioso come una pantera e pronto a fare del male fisico, se ne avesse la possibilità. Per fortuna, però, è un artista, e riesce a incanalare in modo costruttivo questa animosità nel suo lavoro, producendo un film altrettanto arrabbiato e disilluso che segna un notevole passo avanti all’interno del suo già notevole personale percorso artistico. L’Isola dei Cani (Isle of Dogs) allarga enormemente lo sguardo del regista, che si allontana dai microcosmi disfunzionali che aveva messo in scena nelle sue opere precedenti per parlare di un mondo globale che va alla deriva attraverso una fiaba.

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Speciale Vacanze – Vacanze romance: Moonrise Kingdom, di Wes Anderson

MK_00Sesta tappa del nostro Speciale Vacanze, bastano i primi minuti di visione e ogni indizio porta a una inequivocabile soluzione: ci troviamo in un film di Wes Anderson, immersi nel mondo colorato e nostalgico di questo geniale cineasta texano (già, texano: ammettilo, anche tu l’avresti detto inglese), pregno di memorabilia. Quello di Anderson è un cinema degli oggetti; sui titoli di testa di questo Moonrise Kingdom, la cinepresa scruta orizzontalmente gli interni di una casa che sembra una fiera vintage, un set costruito come fosse la sezione di quelle case giocattolo anni ’70, mentre un giradischi portatile color turchese suona Purcell nell’interpretazione di Benjamin Britten con i commenti didattici di una voce che spezzetta la sinfonia spiegando l’ingresso di ottoni, archi etc. Tre bambini con le gote rosse, ciuffo brillantinato e camicia a scacchi – quasi fosse una vecchia cartolina pubblicitaria della Coca Cola – ascoltano sdraiati, in una delle tante inquadrature perfettamente simmetriche. Quello di Anderson e del suo direttore della fotografia Robert Yeoman è un paesaggio policromo immediatamente caro agli spettatori, che nella fandom più sfrenata vedono perfino “luoghi che potrebbero stare in un suo film”.

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