Al cinema: Dio è donna e si chiama Petrunya, di Teona Strugar Mitevska

Petrunya è una trentaduenne macedone di Štip, ragazzona in carne, avvezza alle lunghe dormite e priva di legami sentimentali. Vive coi genitori e non ha un lavoro. Nemmeno l’intercessione di amici e parenti riesce a farle superare questa sua condizione di disoccupata di lungo corso: ha una laurea in storia, non ha esperienza e, soprattutto, non è abbastanza attraente da farsi desiderare dal capetto di turno, disposto – solo previo ottenimento delle grazie delle candidate – a concedere posti da segretaria in una fabbrica tessile non molto dissimile da una manifattura di Changzhou.

Ritrovatasi, per puro caso, sballottata tra la folla accorsa per partecipare alla cerimonia religiosa dell’Epifania ortodossa – che prevede il rito del lancio di una croce di legno all’interno del fiume che attraversa la città, croce che deve essere ripescata da un gruppo di aitanti giovani in costume da bagno – Petrunya finisce, con gesto istintivo, per lanciarsi anch’essa nel gelido corso d’acqua. Sarà lei a ripescare la sacra croce, con un oltraggioso attentato alla regola – rigorosamente non scritta – che prevede che la competizione sia riservata agli uomini.

Petrunya fugge, portando con sé la croce, che non vuole più consegnare. E il caso diventa un affaire politico-religioso che coinvolge – e imbarazza – le autorità locali.

Teona Strugar Mitevska, regista macedone adottata dall’Europa cinematografica che conta (i suoi film sono tutti co-prodotti da case francesi o belghe e vengono regolarmente presentati alla Berlinale), gira il suo quinto lungometraggio ispirandosi ad una storia vera: nel 2014 a Štip, in Macedonia, fu realmente una ragazza a recuperare la croce dalle acque, nel tradizionale rito caratteristico dei paesi ortodossi. Un gesto che fu subito considerato oltraggioso e irriverente dalla comunità locale, e che portò la donna ad essere oggetto di scherno e vittima di insulti.

Un episodio che permette di affrontare il tema della condizione femminile in determinati paesi e comunità, che dietro il paravento della tradizione nascondono un maschilismo retrogrado e un’impostazione sociale di stampo patriarcale, ormai fuori dal tempo.

Ma c’è molto di più nell’affaire Petrunya. Quella croce che dovrebbe donare un anno di buona sorte a chi la recupera diventa il simbolo di una felicità che sembra negata a chi, per tradizione, non può partecipare alla cerimonia: le donne.

L’opera si regge quasi interamente sulle spalle della protagonista, la macedone Zorica Nusheva, attrice comica prestata – con risultati eccellenti – al cinema drammatico. Il suo personaggio è interessato da un cambiamento repentino e intenso, che la porta dall’indolenza e dalla disillusione iniziale ad una pacata presa di consapevolezza della propria forza, che le consente di dominare una situazione apparentemente più grande di lei senza mai andare sopra le righe. E qui ritroviamo il collegamento divino consacrato nel titolo: la passione di Petrunya e la sua resistenza non violenta sono quelle di un Cristo contemporaneo, il cui unico miracolo sta nel far cadere la maschera dell’irrazionalità dei suoi carnefici.

In concorso per l’Orso d’oro a Berlino – dove è stato accolto entusiasticamente da pubblico e critica, ricevendo due premi e venendo celebrato quale film rivelazione della rassegna – e presentato in anteprima italiana al Torino Film Festival, Dio è donna e si chiama Petrunya arriva oggi nelle sale cinematografiche italiane, ed è stato di recente insignito di un prestigioso riconoscimento, il Premio Lux assegnato annualmente dal Parlamento Europeo.

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Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija (2019, Macedonia del Nord / Belgio / Francia / Croazia / Slovenia, 100 min)

Regia: Teona Strugar Mitevska

Sceneggiatura: Teona Strugar Mitevska, Elma Tataragic

Fotografia: Virginie Saint-Martin

Interpreti principali: Zorica Nusheva (Petrunya), Labina Mitevska (Slavica, la giornalista)

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