oldies but goldies: Hellzapoppin’, di Henry C. Potter

La prima domanda che sorge spontanea, vedendo questo lungometraggio, è molto semplice: ma come hanno fatto a realizzare nel 1941 un tale film? A posteriori la risposta è scontata, ma non all’epoca, tanto è vero che, fin dalle prime inquadrature, i messaggi sono tesi a “rassicurare il pubblico”. Il proiezionista si lamenta della qualità del film che sta per mostrare alle persone presenti in sala (ma a chi si sta riferendo in realtà?), nei titoli di testa gli spettatori sono avvertiti che “ogni somiglianza tra Hellzapoppin’ e un film è puramente casuale” e, di tanto in tanto, i protagonisti spiegano che “Questo è un film”. Più di così…

E invece, Hellzapoppin’ non è solo un lungometraggio, ma è un’opera cult, la trasposizione cinematografica dell’omonima rivista messa in scena a Broadway, che in 80 minuti circa riesce a sconvolgere tutti i canoni del cinema classico hollywoodiano, demolendo con un ritmo folle sia la “Narrazione classica” che il “découpage classico”.

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Breve viaggio nell’horror classico (in 36 film) – parte prima

Per la sua trentasettesima edizione il Torino Film Festival si è dipinto di horror, genere a cui è stata dedicata la principale retrospettiva della rassegna. In particolare, l’ormai ex direttrice del Festival ha progettato un viaggio nel periodo classico del genere, proponendo trentacinque film horror “da Caligari a Romero”. Quest’ultimo in realtà escluso, in quanto padre fondatore del New Horror. Ed infatti la pubblicazione dedicata alla retrospettiva è stata più correttamente (rispetto alle notizie diffuse ante-festival) intitolata “Da Caligari agli Zombie”.

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Oldies but goldies: Gilda, di Charles Vidor (100 candeline per Rita Hayworth!)

gildaRegina incontrastata delle pin-up girls (il suo poster diventa un elemento fondamentale nel racconto Rita Hayworth and Shawshank Redemption di Stephen King, splendidamente portato sul grande schermo da Frank Darabont con Le ali della libertà), sogno erotico di ogni uomo tra gli anni quaranta e cinquanta, la bella Margarita Carmen Cansino nacque a New York il 17 ottobre 1918. Cento candeline che troveranno, tra le varie celebrazioni, una affettuosa dedica ne l’immagine della 36^ edizione del Torino Film Festival. Ottima danzatrice e talentuosa attrice, fu scoperta dal collerico produttore Harry Cohn che le impose il nome di Rita Hayworth dal cognome della madre, delatinizzazione necessaria (eh già…) per portarla alla ribalta del pubblico USA. Stella del set e della cronaca mondana, fece parlare di sè per i suoi amori (tra gli altri Glenn Ford, Orson Welles e Alì Khan, un principe diseredato persiano), il suo travolgente sex-appeal, ma anche per la sua fierezza femminile, di cui è nota una annosa, strenua resistenza alle avances del tiranno della Columbia, King Cohn. Per celebrare il suo centenario abbiamo scelto il film a cui la sua immagine resterà perennemente legata, il vellutato noir Gilda di Charles Vidor che, secondo le parole del regista stesso, voleva mostrare come l’odio fosse una emozione eccitante tanto quanto l’amore.

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Oldies but Goldies: Un americano a Parigi, di Vincente Minnelli

An-american-in-Paris-posterEsattamente 100 anni fa nacque Alan Jay Lerner, nome che potrebbe dirvi poco o nulla se non siete un po’ appassionati di musical. Nell’allestimento di uno spettacolo danzante e cantante pensato e studiato per il cinema, i reparti tecnici a cui generalmente si fa riferimento sono coreografia, regia, scenografia, naturalmente le musiche; il fanalino di coda spetta alla sceneggiatura, più apprezzata nel cinema classico. Tuttavia si può scrivere una buona storia saldandola agli “invadenti” innesti coreografici, come dimostrò il paroliere Lerner il quale vinse ben due premi Oscar per Un americano a Parigi e Gigi, frecce della faretra MGM prodotti da Arthur Freed per la regia di Vincente Minnelli. Ebbene, visto che amiamo molto celebrare le ricorrenze e spesso approfittiamo semplicemente di queste per parlare dei film che amiamo, oggi vi presentiamo il mitico An American in Paris, cugino meno nobile del divino Singin’ in the rain seppure più premiato. Continua a leggere “Oldies but Goldies: Un americano a Parigi, di Vincente Minnelli”

oldies but goldies: Che fine ha fatto Baby Jane?, di Robert Aldrich

Che-fine-ha-fatto-Baby-Jane-Bette-Davis 3Il 9 agosto di cento anni fa nasceva a Cranston, Rhode Island, Robert Aldrich. Un regista che raggiunse l’apice della carriera nella Hollywood degli anni Cinquanta e Sessanta, quando diresse la maggior parte dei suoi film più celebri. Dopo aver esordito col western, Aldrich esplorò gli altri generi cinematografici, passando al noir, al war movie e al drammatico. I suoi film più conosciuti sono sicuramente Che fine ha fatto Baby Jane?, del 1962, e il cult antimilitarista Quella sporca dozzina, uscito cinque anni dopo. Di quest’ultimo hanno parlato in maniera oltremodo esaustiva i colleghi de Il Zinefilo, ove è stato presentato un eccellente articolo che ripercorre le influenze sul soggetto di The Dirty Dozen, e de La Bara Volante, con una recensione che se non può essere considerata quella definitiva poco ci manca.

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oldies but goldies: Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, di Stanley Kramer

questo-pazzo-pazzo-pazzo-pazzo-mondo-ce-2-dvdLa commedia americana anni ’60 è una vivace, chiassosa bomba di colore, irrompe nelle sale in Panavision e formati affini, è certo meno signorile delle sophisticated comedies in bianco e nero di soltanto qualche anno prima, ma non di meno è sorretta da sceneggiature di gran pregio. E’ il caso del rocambolesco road movie Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, diretto dal grande Stanley Kramer (oggi forse uno tra i più illustri dimenticati della vecchia gloriosa Hollywood) e scritto con formidabile estro dai coniugi William Rose e Tania Price Rose, un patchwork di infallibili meccanismi comici per un gran parterre di caratteristi, personaggi che come anelli concentrici seguono il loro singolare percorso confluendo verso l’unica meta. L’antefatto è presto riassunto: in una di quelle affascinanti, interminabili highways che serpeggiano nel deserto americano, un uomo esce di strada a tutta velocità con la sua cadillac; prima di spirare, rivela a un gruppo di automobilisti accorsi in suo aiuto l’esistenza di un tesoro nascosto a Santa Rosita in California. Continua a leggere “oldies but goldies: Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, di Stanley Kramer”

oldies but goldies: King Kong, di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack

King Kong 01In quest’epoca di remake e reboot e riproposizioni come Kong: Skull Island e il suo MonstVerse, è bello anche abbandonare per un po’ queste schifezze produzioni, per tornare alle origini. Ripropongo qui, per chi se lo fosse fatto sfuggire, o per chi se ne fosse disinteressato finora, il fighissimo film King Kong del 1933, da cui il mito dello scimmione improbabilmente grosso ebbe inizio. Ho scritto “fighissimo”? Mh, forse non dovevo partire subito così in quarta…

Alla regia troviamo Marian C. Cooper, dietro alla macchina da presa anche in altre produzioni epiche quali The Four Feathers (1929) e Gli ultimi giorni di Pompei (1935), oltre che produttore di una serie di capolavori quali Il massacro di Fort Apache, Sentieri selvaggi, Un uomo tranquillo. Non si tratta di un autore estremamente prolifico, ma senza dubbio sfaccettato, avendo ricoperto vari ruoli: oltre a regista e produttore, fu anche sceneggiatore e direttore della fotografia, oltre che attore in un piccolissimo ruolo nel suo stesso film (è lui il pilota che abbatte Kong!). Insomma, sapeva il fatto suo nel mondo del cinema. Ad assisterlo c’è Ernest B. Schoedsack, suo compagno anche in altre produzioni. Continua a leggere “oldies but goldies: King Kong, di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack”

oldies but goldies: La dolce vita, di Federico Fellini

Marcello! Come here! Hurry up!

Ladolcevita_locandinaCi voleva il genio visionario di Fellini per omaggiare degnamente il fascino contradditorio della Roma indolente di fine anni Cinquanta, dalle borgate ai folleggianti club notturni, raffinata e mignotta, pagana e bigotta, forse più mito americano che realtà nostrana. Il nostro Speciale sul 70° Festival di Cannes pesca dal suo forziere un’altra pregiatissima Palma d’Oro italiana – dopo aver già affrontato la Palma delle Palme firmata da Visconti – uno dei capolavori di Federico Fellini, forse il più grande regista italiano mai esistito e certamente tra i più eccelsi cineasti a livello mondiale; La dolce vita è una celebrazione dolceamara dello stile di vita esagerato, snob, ridicolo e fanfarone del jet-set col suo ronzante nugolo di paparazzi, una storia sceneggiata senza soluzione di continuità in cui il popolino romano, devoto tanto alle star quanto alle statue, fa le sue incursioni pagliaccesche con i consueti, impagabili caratteristi dell’universo felliniano.

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Oldies but Goldies: La foresta pietrificata di Archie L. Mayo

la-foresta-pietrificataRobert E. Sherwood, prolifico scrittore a tutto tondo ed esponente di spicco della Tavola Rotonda dell’Algonquin (circolo letterario newyorkese molto in voga negli anni ‘20),  vanta nel suo carnet una straordinaria produzione di reportage, biografie, testi teatrali e sceneggiature per il cinema che lo portarono a collezionare quattro Pulitzer e un Oscar (nel ’47, con la sceneggiatura de I migliori anni della nostra vita di Wyler). Tra i suoi lavori più acclamati figura certamente La foresta pietrificata (The Petrified Forest), dramma in due atti che debuttò nella Grande Mela nel 1935, che racconta con un certo fatalismo la Grande Depressione americana sul solco della tradizione western; acquistati i diritti, la Warner col suo eclettico uomo di punta Hal B. Wallis mise sotto contratto il regista Archie L. Mayo facendo adattare la piece da Charles Kenyon in tandem con l’allora emergente Delmer Daves.
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