Al cinema: Bohemian Rhapsody, di Bryan Singer (e Dexter Fletcher)

È sicuramente uno dei film più attesi del 2018 e i primi dati degli incassi (quasi 3 milioni e mezzo di euro nei primi tre giorni di proiezioni) stanno dando ragione a chi lo riteneva tale. Bohemian Rhapsody racconta la storia del gruppo inglese dei Queen, dalla loro formazione, nel 1970, ad uno dei momenti più alti raggiunti dalla band, la partecipazione al concerto di beneficenza Live Aid tenutosi a Wembley nel 1985. È un film sui Queen, ma è anche e soprattutto un film sul frontman del gruppo Freddie Mercury, che amava definirsi il solista più che il leader della band.

I Queen sono stati uno dei gruppi di maggior successo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, ragion per cui l’approccio ad un film come Bohemian Rhapsody può avvenire essenzialmente in tre modi.

I primi due rientrano nella macro categoria della non oggettività, e sono:

  • l’attesa pregiudiziosa, ossia quella di chi nutriva una certa avversione nei confronti della band o di Mercury (perché non apprezzava la loro musica o certi loro atteggiamenti sopra le righe); ma anche quella di chi, pur essendo un fan del gruppo, lo è a tal punto da non ammettere – a causa di quell’ortodossia che non accetta mistificazioni – che si possa fare un film sui Queen senza scivolare nell’artificiosità e nel compromesso;
  • l’altro approccio non oggettivo è invece quello dei fan acritici, che non hanno saputo far altro che salutare con favore un’operazione di questo tipo;

il terzo modo è invece

  • quello oggettivo, che è l’approccio adottato da chi non ha sentimenti di avversione, ma nemmeno di esaltazione nei confronti del gruppo, e riesce quindi a garantire una certa lucidità di analisi; ma anche quello di chi, pur essendo ascrivibile ad una di tali due categorie (i fan o i detrattori) si avvicina alla pellicola mantenendo il necessario spirito critico.

Questa è soltanto la fase di approccio alla pellicola, perché poi – dopo aver visto il film – può tranquillamente accadere che vi siano dei rimescolamenti, a fronte della soddisfazione o meno delle aspettative: il fan acritico può rimanere deluso ed esprimere un giudizio negativo, a dispetto dell’esaltazione iniziale; così come, allo stesso modo, un detrattore prevenuto può dare un parere oggettivo (e magari pure positivo).

Tutta questa premessa metodologica è dovuta alla mia attitudine a elaborare schemi classificatori, anche piuttosto articolati (come forse si era capito). Dovessi calarmi in tali schemi, dovrei dire che il mio avvicinamento alla pellicola è stato quello di un fan non esaltato ma comunque accanito. Uno che ritiene che Bohemian Rhapsody sia una delle tre canzoni più belle del secolo scorso (le altre due sono Imagine e Like a Rolling Stone, giusto per non essere reticente).

Dunque un’attesa abbastanza accesa, con tanta curiosità ma anche un pizzico di timore per quella che avrebbe potuto essere la clamorosa profanazione di un mito. Quindi -giusto per abbattere concettualmente fin da subito la validità del mio schema classificatorio- devo dire che mi trovavo in una posizione ibrida alle tre sopra elencate.

Ok, ma il film com’è (si chiederà colui al quale non interessa un fico secco delle mie elucubrazioni mentali, ma vuole soltanto avere un parere per capire se andare o meno al cinema)?

Premesso che la trasparenza e l’onestà intellettuale nel dichiarare apertamente qual è stato l’approccio ad un film è a mio avviso fondamentale nel soppesare il giudizio finale del commentatore, passo ad elencare -in maniera disordinata, in perfetto stile stream of consciousness– le mie impressioni a caldo successive alla visione.

Innanzitutto c’è da dire che l’80% (stima arrotondata per eccesso ma che comunque non può scendere sotto il 75) dell’efficacia di questo film sta nelle canzoni dei Queen, che sono state mantenute in originale (thanks God), anche perché qualsiasi decisione differente sarebbe stata un suicidio premeditato. Questo perché la pelle d’oca durante la visione (e anche dopo, per diverse ore) è stata causata -almeno per quanto riguarda il sottoscritto- principalmente dalle sequenze cantate. Che poi la messinscena e la replica “shot for shot” delle vicende di cui esiste una documentazione storica (il Live Aid in particolare) siano state mediamente inappuntabili, non cambia la sensazione che in Bohemian Rhapsody le immagini accompagnino la musica e non viceversa.

In altre parole: cosa aggiunge questo film ad un’operazione come quella dell’uscita nelle sale dei film girati in occasione di alcuni dei concerti più celebri della band (ad es. Live at Wembley ’86 o A Night in Bohemia ’75)? La risposta è semplice: una visione d’insieme; uno stile non documentaristico; la possibilità di raccontare visivamente (e non soltanto attraverso interviste) tutta una serie di dietro le quinte.

Se dunque ci dovessimo basare sulla sola parte musicale – che, come detto, è innegabilmente quella più avvincente – ci sarebbe da dire, in tutta franchezza, che il film aggiunge poco a quanto già visto negli scorsi anni: tra vedere Rami Malek che fa il playback sulle canzoni dei Queen e assistere a un Live at Wembley ’86 penso che ci siano pochi dubbi su cosa scegliere. Stessa cosa per il video -entrato nella storia e ricostruito nel film- di I Want to Break Free.

Ma per tutto il resto Bohemian Rhapsody si può considerare prezioso, soprattutto perché ben girato e ben interpretato, con attori che non sono soltanto eccellenti sosia, ma anche decisamente ben calati nelle proprie parti. Non ci sarà nessun momento di grande cinema e forse si poteva anche osare di più su certe situazioni (anziché risolverle con l’ennesimo showdown verbale sotto la pioggia), ma rimane il fatto che il film è estremamente godibile e che fa scivolare 2 ore e un quarto senza quasi accorgersene.

Queste sono, allo stesso tempo, le ragioni per cui Bohemian Rhapsody non ha entusiasmato i critici, ma sta attirando caterve di persone nei cinema.

Perché comunque funziona ed emoziona. Perché ci sono le camicie inguardabili di John Deacon, il parruccone di Brian May che-sembra-proprio-lui, i costumi da “lucertola incazzata” di Freddie Mercury.

Perché ci sono le canzoni dei Queen, non profanate ma soltanto ricostruite sotto l’aspetto visivo.

E perché quelle canzoni fanno venire la pelle d’oca.

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Bohemian Rhapsody (2018, USA / UK, 134 min)

Regia: Bryan Singer, Dexter Fletcher

Soggetto: Anthony McCarten, Peter Morgan

Sceneggiatura: Anthony McCarten

Fotografia: Newton Thomas Sigel

Musiche: John Ottman

Interpreti principali: Rami Malek (Freddie Mercury), Ben Hardy (Roger Taylor), Joseph Mazzello (John Deacon), Gwilym Lee (Brian May), Lucy Boynton (Mary Austin)

17 pensieri riguardo “Al cinema: Bohemian Rhapsody, di Bryan Singer (e Dexter Fletcher)

  1. Forse hai trovato un approccio migliore, non ero maldisposto contro la pellicola prima di vederla, ma a fine visione si, non trovo abbia senso ricreare i momenti scena per scena, l’ho trovato un film confuso, da una parte non rispetta la cronologia degli eventi (e delle canzoni pubblicate) per prendersi delle libertà (ci sta, è un film), d’altra ambisce ad essere identico al 100% per far felice il pubblico, l’ho trovato fastidioso. Ma la musica non è niente male 😉 Cheers

    1. il fatto è che io:
      a) sono generalmente abbastanza buonista con i film
      b) se poi mi danno in pasto due o tre canzoni di quelle giuste difficilmente riesco ad essere negativo ( o anche solo oggettivo 😉 )…
      che poi -come ho scritto nella recensione- diversi lati negativi li ho trovati pure io, ma ha finito per prevalere l’emozione viscerale che il film mi ha suscitato…

  2. Dovrei andare a vederlo. Parto conoscendo i Queen in modo approssimativo. Conosco le canzoni più famose, ma poco della vita di Freddie Mercury.
    Perciò dovrei andare con la mente libera da pregiudizi o pensieri vari.
    Ti saprò dire!

  3. Concordo: il merito della riuscita è senza dubbio da attribuire ai brani dei Queen che, riecheggiando nella sala del cinema, trovano tutta la loro maestosità mettendo d’accordo fan di lunga data e ‘profani’. Per il resto un film biografico piuttosto tradizionale, senza particolari slanci – sequenze dei concerti a parte ma per i suddetti motivi – che trova il suo punto di forza in un grande Rami Malek in veste di protagonista 🙂

    1. assolutamente! ormai si vocifera da più parti di una probabile candidatura all’Oscar… non so se arriverà, ma sicuramente la sua è un’ottima interpretazione…

  4. Potrebbe proprio essere che proprio per via della musica riesca a emozionare lo spettatore. Film biografici su scrittori o pittori – per dire – riescono più difficilmente a nascondere i difetti.

  5. La barba l’ho fatta stamattina. Questo pensavo mentre, proprio all’ultimo dell’anno, vedevo il film. Nel senso che l’ho trovato un film che blandisce, e anche pesantemente, lo spettatore. Inutilmente ricattatorio – oltre che cronologicamente errato – aver sistemato la rivelazione della malattia proprio prima del Live Aid: errato perchè avvenne solo nell’89, 4anni dopo, e inutile perchè il Live Aid è già un climax di suo. E poi le altre Regine arrabbiate per il disco solista di Freddy (quando Taylor ne aveva già fatto uno di suo): altra costruzione drammaturgica inutile, e inesatta. In un film così, con delle canzoni così importanti e amate, e con un protagonista tanto magnetico, non c’era bisogno di questo. Molto più interessante sarebbe stato parlare della “Sun City controversy”, quando i Queen – in barba al boicottaggio del Sudafrica – andarono a suonare proprio a Sun City… Scelta legittima, ma che avrebbe messo un po’ di pepe a un film che scivola invece pericolosamente verso il “santino”. Poi gli attori sono identici, le canzoni sappiamo tutti come sono, trucco-parrucco eccezionale, ecc ecc: ma, senza fare lo snob, i film veramente belli e importanti sono altri.
    Detto questo, vado a rivedermi il Memorial Freddy Mercury 🙂

    1. Tutto vero.
      C’è sempre questo problema del giudizio a caldo – per cui, almeno nel mio caso, non sono riuscito a non registrare un grosso coinvolgimento emotivo, soprattutto nella sequenza del Live Aid, saggiamente messa alla fine – e del giudizio a freddo, che se si inizia ad analizzare con la lente d’ingrandimento un film lo si finisce necessariamente per distruggere.
      Che è poi la grossa distinzione tra spettatore medio – che guarda il film, quando finisce dice “wow” e non ci pensa oltre – e cinefilo, che invece dopo la visione (i più bravi anche durante) inizia a sviscerare, paragonare, approfondire…
      il fatto è che a volte il cinefilo vuole tornare ad essere spettatore e lasciarsi trasportare dalle emozioni…
      Per il resto, la storia del cinema è piena di gesta eroiche romanzate per risultare ancora più eroiche e di vite straordinarie romanzate per risultare ancor più straordinarie.
      Qui si son fatti prendere la mano, non c’è dubbio, e forse si sono pure pentiti di averlo fatto (ma forse anche no, perché il film così com’è è andato alla grande, e se fosse stato diverso chissà)…
      dopo tutto il successo (inatteso) avranno pensato che se non si facevano prendere la mania di anticipare tutto ci avrebbero potuto fare un sequel… e giù altri soldi (i soldi, sempre loro… ossia il motivo per cui i Queen andarono a cantare in Sudafrica, per quel poco che ne so)…
      poi certo, c’è un problema ancor più grande (ma ormai di routine nella civiltà della disinformazione e delle fake news), e cioè che in molti penseranno che quanto hanno visto è ciò che è veramente accaduto, senza curarsi di andare a verificare alcunché…
      ma qui si entra in un discorso ancor più grande… 😉

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