Cronache dal Torino Film Festival: 2019, l’anno di Teona

Giunto alla 37esima edizione, anche quest’anno il Torino Film Festival è riuscito a tener botta, pur in un contesto da tempo ritenuto in crisi principalmente a causa delle mantidi dello streaming (Netflix, Amazon), le quali, dopo aver flirtato con la settima arte, se la divorano famelicamente nella sua espressione più pura, il grande schermo, trovandosi anzi addirittura a dover fronteggiare la concorrenza delle grandi case di produzione (Disney in primis) che han deciso di fiondarsi su questo mercato con tutta la loro forza.

Eppure, l’evento festivaliero (anche quello più ‘popolare’, lontano dai lustrini e dai red carpet) conserva intatto il suo fascino. E infatti anche nel 2019 il TFF riesce a superare le 60.000 presenze, con oltre 2000 accreditati, circa 700 abbonati e 26.000 biglietti singoli staccati durante i nove giorni di proiezioni.

Numeri di poco inferiori a quelli registrati l’anno scorso (e in un caso di poco superiori, quello degli abbonati).

Il 2019 è stato l’anno dell’horror (e avrò modo di parlarne nei prossimi giorni) grazie alla retrospettiva dedicata al periodo classico di questo popolare genere cinematografico. Ma è stato anche l’anno di Teona, nome di battesimo di Teona Strugar Mitevska, regista macedone chiamata a far parte della giuria del concorso e a cui è stata dedicata una retrospettiva personale.

Un’autrice fortemente voluta dalla direttrice Emanuela Martini (che peraltro a fine festival non è stata confermata), che l’ha citata e menzionata a più riprese.

Nata nella capitale Skopje, Teona (la chiameremo così, di qui in avanti, come è stata ‘affettuosamente’ battezzata dai frequentatori del festival) si è formata cinematograficamente negli Stati Uniti, dove ha compiuto i suoi studi artistici.

Nella retrospettiva torinese sono stati presentati tutti e cinque i lungometraggi da lei diretti, ma non il suo corto di esordio, Veta, risalente al 2001.

Storie ambientate nella sua terra e nel presente, nel più classico degli hic et nunc, ma dotate di un respiro universale che le rende estendibili a qualsiasi tempo e a qualsiasi luogo. Fotografie della contemporaneità e del disagio dei nostri giorni, in un costante intreccio di malinconia, ennui, spleen esistenziale.

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Il primo lungometraggio di Teona è del 2004, ed è ambientato durante la guerra civile combattuta nel 2001 in Macedonia (che da quest’anno si chiama Macedonia del Nord, per chi se lo fosse perso). La protagonista è una giovane ragazza, Viola, interpretata dalla sorella della regista, Labina Mitevska (molto più di un’attrice feticcio, avendo fondato con Teona e il fratello Vuk una casa di produzione con la quale la stessa Teona ha girato quasi tutti i suoi film).

Viola torna a Skopje dagli Stati Uniti, proprio in quei giorni in cui le tensioni tra esercito macedone e milizia separatista del National Liberation Army deflagrano in un conflitto armato (nulla di paragonabile, tuttavia, a quanto si era vissuto negli altri Paesi della ex Jugoslavia durante gli anni Novanta). Viola troverà il fratello, il ribelle Kokan, impegnato in prima linea in questo conflitto, fatto principalmente di schermaglie contro le truppe NATO inviate nel Paese per operazioni di peacekeeping.

Incentrato sulle vicende personali di Viola e Kokan, che si intrecciano con la recente storia della Repubblica macedone, How I Killed a Saint è un esordio di ottimo livello, pur sacrificato in un contesto geografico che ha sicuramente inciso sulle possibilità di diffondere la pellicola ad un pubblico più ampio.

Un senso di tragica ineluttabilità accompagna l’intero film, con i toni drammatici che si immergono in un’opera di ampio respiro autoriale.

Lo spaesamento dei due protagonisti, calati in una situazione politico-sociale che subisce una dolorosa escalation, è quello di chi si trova a dover fare i conti, all’interno del proprio Paese, con guerra, terrorismo, cinismo della politica, sottoposizione all’influenza straniera.

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Protagoniste del secondo lungometraggio di Teona sono invece tre sorelle. Ma in primo luogo ad essere protagonista è la cittadina di Veles, tristemente famosa per l’inquinamento generato dalle sue industrie e per essersi chiamata Titov Veles fino a qualche anno dopo la morte di Tito e l’indipendenza della Macedonia.

Tre sorelle molto diverse tra loro, ma accomunate da una condizione di relativa miseria. Afrodita, la più giovane delle tre, si è chiusa nel mutismo dal giorno della morte del padre. Sapho è una donna libertina – forse suo malgrado – che sogna il visto per la Grecia. Slavica è dipendente dal metadone e sta per accasarsi con un uomo benestante fattole conoscere da Sapho.

Tragico e struggente, I Am From Titov Veles è un film chiaramente ispirato a quella cinematografia europea d’autore di stampo intimista, quella dei Bergman e degli Antonioni, che Teona ha richiamato espressamente come suoi ispiratori. Ma c’è anche molto Tarkovskij in questo film: nello stile asciutto, nelle lente carrellate, nelle riprese da dietro le porte aperte, nelle plongée sopra i giacigli, nell’acqua come elemento fondante e redentivo.

La regista si affida anche ad una pronunciata componente onirica, per certi aspetti neanche così necessaria, ed anzi probabilmente fuori luogo in alcuni frangenti.

Il desiderio di fuga, l’affetto familiare, la solitudine, sono i temi di quest’opera intima e affascinante, la migliore (insieme a God Exists, Her Name Is Petrunya) tra quelle da me visionate al festival.

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Il terzo lungometraggio di Teona (e della rassegna), The Woman Who Brushed Off Her Tears, del 2012, me lo sono lasciato scappare, ahimè. E non c’è stato verso di recuperarlo in nessun modo, almeno con i canali a me noti. E pensare che ero pure disposto ad imparare il macedone (vabbè non esageriamo).

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Passiamo dunque al quarto, When the Day Had No Name, presentato nel 2017 nella sezione Panorama del 67° Festival di Berlino. Un film in cui Teona cambia totalmente registro: se le donne erano state protagoniste di tutte le sue opere, dando alla sua poetica un taglio decisamente femminile (e, con Petrunya, anche femminista), When the Day Had No Name è invece incentrato sull’adolescenza – al maschile – e i suoi demoni.

Seguiamo, in particolare, la giornata di alcuni ragazzi macedoni, sei adolescenti che si ritrovano per una giornata di eccessi, in cui a turno condivideranno il letto di una giovanissima prostituta, in uno squallido edificio situato nella periferia di Skopje.

Teona dimostra di saper raccontare la psicologia di quei ragazzi, di cui viene messo in mostra il disagio quotidiano di un’adolescenza priva di valori e certezze, il vuoto esistenziale di una generazione, resa perfettamente dall’apatia dei protagonisti.

Un film teso, per quanto apparentemente monocorde, debitore dell’Elephant di Gus Van Sant, anche se in questo caso i protagonisti sono allo stesso tempo carnefici e vittime, in un finale che si ispira ad un fatto di cronaca (come quasi tutte le opere di Teona).

When the Day Had No Name ha un andamento altalenante: per almeno due terzi si segue con fatica l’intento sostanzialmente descrittivo, con qualche buon momento di regia, come quando Teona decide di tenere la macchina da presa fuori della stanza in cui i ragazzi, a turno, stanno sfogando le proprie pulsioni sessuali con la giovanissima prostituta. Fuori da quella stanza, sdraiati per terra, i giovani bevono, fumano, dialogano del più e del meno in un vertiginoso vuoto di valori.

Il finale porta a compimento un climax che ha la struttura grafica di un’iperbole rovesciata: a lungo piatta, tangente all’asse, si impenna per culminare nel drammatico epilogo.

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E arriviamo così, infine, alla già citata Petrunya.

Ma del quinto lungometraggio di Teona, anch’esso presentato a Torino, parlerò domani, in occasione della sua uscita nei cinema italiani.

…continua qui

2 pensieri riguardo “Cronache dal Torino Film Festival: 2019, l’anno di Teona

  1. Io ho visto solamente, per ora, “When the Day Had No Name” e “I Am From Titov Veles”: concordo sulle tue impressioni e riferimenti (Van Sant per il primo e Tarkovskij per il secondo), l’unica cosa è che non sono riuscito a empatizzare con la protagonista Afrodita… Ho vissuto il film più come esperienza estetica che narrativa: chissà, magari in un altro momento sarebbe stato diverso! Ora tutti al cinema per Petrunya!

    1. Sì il lato estetico-stilistico è prevalente, soprattutto in ‘Titov’…
      Petrunya distribuito col contagocce (già grazie che l’hanno fatto, bisogna forse dire di questi tempi)… 17 sale in tutta Italia

Commenti

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