Al cinema: Domino, di Brian De Palma

Nel travagliato crepuscolo della carriera di Brian De Palma viene ad aggiungersi un film disconosciuto, dopo una serie di pellicole di scarso successo o dalle tormentate vicende distributive. Domino è arrivato nelle sale soltanto a metà 2019, sebbene fosse in fase di post-produzione già sul finire del 2017 (o almeno: quando il Torino Film Festival dedicò a De Palma una retrospettiva, questi non poté accettare l’invito adducendo quella motivazione).

Una produzione internazionale, ma soprattutto danese (con la partecipazione di altri finanziatori europei provenienti da Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi), per una storia che racconta l’angoscia del Vecchio Continente negli anni del terrorismo e dell’ISIS, pur ipotizzando le vicende ambientate in un recente futuro.

Siamo a Copenhagen e due poliziotti intervengono in quella che sembra una chiamata di routine, che invece rivela la scena di un delitto legato al terrorismo internazionale.

Uno dei due agenti, ferito a morte, sprona l’altro a inseguire il terrorista, anziché fermarsi a prestargli soccorso. Decisione che segnerà la vita di Christian, soprattutto dopo la morte del collega.

La caccia per rintracciare l’omicida si estenderà per mezza Europa e vedrà intervenire la CIA in un ruolo particolarmente subdolo, contrastante con quello della polizia danese.

Domino è prima di tutto un poliziesco e un thriller politico, ma anche uno spy-movie. Un film tutto sommato non mal riuscito, nonostante le complicate vicende produttive.

Vero che De Palma è arrivato a negare la paternità dell’opera, ma non si sa quanto per motivi economici (e in particolare di mancati pagamenti alla crew) e quanto per ragioni artistiche (il taglio di circa mezz’ora deciso dai produttori)

Non si è arrivati al punto di utilizzare lo pseudonimo di Alan Smithee, usato per i film rinnegati dal regista (uno degli esempi più famosi è la versione estesa del Dune di David Lynch), ma De Palma non le ha certo mandate a dire ai produttori danesi, parlando di Domino come dell’esperienza più orribile mai avuta su un set.

Eppure, il film non è poi questa tragedia.

La durata ridotta, inferiore ai 90 minuti, lo rende un’opera dalla visione sicuramente non problematica. Un thriller che è anzi piuttosto coinvolgente, con temi di attualità che lo rendono mediamente interessante per il grande pubblico. Di certo c’è che l’opera non fa nulla per staccarsi dal suo connotato mainstream e fortemente televisivo, richiamando quei serial polizieschi made in Germany che affollano i nostri pomeriggi televisivi.

Gli spunti autoriali si limitano all’indispensabile e necessitano peraltro di una buona conoscenza di De Palma (oltre che di una certa fantasia) per essere colti: apprezzabile, ad esempio, il finto split screen iniziale ottenuto con l’affiancamento di due teste in primo piano -ma su campi diversi- che fa il paio con quello (reale) sul red carpet; o ancora il finale, che evoca Omicidio in diretta ma anche – e soprattutto – le atmosfere dell’epilogo di Blow Out.

Ad ogni modo, è un De Palma che resta comunque più ancorato ai suoi ultimi film (Femme Fatale e Redacted, su tutti) che alle sue opere d’esordio o a quelle della maturità artistica.

La sceneggiatura lascia a desiderare su molti aspetti, ed è infatti uno degli aspetti contro cui il regista si è scagliato maggiormente: il fatto di non aver potuto mettere mano allo script, limitandosi a girare un’opera -di fatto- altrui.

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Domino (2019, Danimarca / Francia / Italia / Belgio / Paesi Bassi, 89 min)

Regia: Brian De Palma

Sceneggiatura: Petter Skavlan

Fotografia: José Luis Alcaine

Musiche: Pino Donaggio

Interpreti principali: Nikolaj Coster-Waldau (Christian Toft), Carice van Houten (Alex), Guy Pearce (Joe Martin)

19 pensieri riguardo “Al cinema: Domino, di Brian De Palma

  1. La cosa incredibile è che autori famosi come De Palma, non riescono nemmeno a farsi accreditare come Alan Smithee. La cosa paradossale invece, e che un gigante come De Palma debba raggranellare monetine in giro per l’Europa per fare un film, per poi essere trattato così. Ci sono tanti Maestri che non hanno raccolto i dividendi del loro lavoro, purtroppo il vecchio Brian è tra questi. “Domino” è una robina, in cui si intravedono i lampi del suoi genio, proprio per questo viene voglia di mordersi le nocche ancora più forte. Cheers

  2. Colpisce quel riferimento ai polizieschi made in Germany che affollano i nostri pomeriggi (e le prime serate estive, aggiungerei, ed il sabato per intero).
    Per assurdo che sia, è un difetto che mi fa sentire a casa 🙂

    1. 😉 mi sembrava un riferimento sufficientemente familiare…
      Mi chiedo talvolta se ci sia un contrappasso, ossia se in Germania propinino le nostre splendide fiction… Non credo proprio però…

      1. Ne dubito anch’io.
        Chissà come sarebbe vedere le loro cose migliori, polizieschi a parte – per carità: sempre viva Cobra 11.

    2. Credo che la RAI “pompi” parecchio nel sudamerica “spagnolofono” (loro dicono di andare bene in Argentina, ma dicendolo loro, boh, chi lo sa)… — e fermiamoci un attimo a riflettere sui poveri abitanti del Rheinland-Pfalz se loro dànno a noi Derrick, Cobra 11 e il Commissario Lanz con Alessio Cigliano e Bruno Alessandro e in cambio hanno CentoVetrine, Vivere o anche Talent High School Regno di Sofia doppiati in tedesco…

      1. Sì, nel Sudamerica ispanolinguico dai dati ufficiali che ci raccontano ogni anno andiamo forte.
        Certo che tra Derrick e Cobra 11-Lanz (con tutto che questi ultimi due mi urlano casa! affetto! mamma! a tutto spiano, perché mia mamma era una spettatrice fedele) c’è l’abisso di nicciana memoria.
        Voglio dire, Derrick è supremo. Alcuni anni fa passarono l’intera serie su non ricordo quale canale (TV2000, ho idea), ed io religiosamente ogni pomeriggio accendevo un cero, mi segnavo e sgranavo gli occhietti sul’affidabile e sempiterno Horst Tappert.
        Sempre sia lodato.

      2. Io ho visto qualche puntata delle primissime stagioni di «Wolf, poliziotto a Berlino», credo o su Rai2 o Rai3, lo facevano, mi sembra, addirittura nel “preserale” prima che questa fascia fosse definita davvero in Italia… era di un iperrealismo nichilista che proprio sconfortava: colori cupi, attori da neorealismo, resa visiva scura e smorta, era di una tristezza indicibile! — ma la cosa più stupenda era che c’erano scene di ammazzamenti con teste spappolate e scene di nudo femminile frontale e integrale, all’improvviso e senza alcun avvertimento! — negli stessi anni i vari MOIGE sbraitavano tanto contro «Rossana/Kodocha» ma su «Wolf» non dicevano nulla! Non capivo perché, ma poi ho realizzato che, magari, a vedere «Wolf» il pomeriggio su Rai3 c’ero probabilmente solo io e nessun altro ragazzino!

      3. Quello che avrei voluto fosse un riferimento nefasto sta sollevando pensieri retronostalgici a profusione…😉
        Ben venga, beninteso, ma a sto punto credo di essermi perso dei pezzi importanti dei serial tedeschi, il che non mi autorizzerebbe a citarli a cuor leggero, come faccio😁

      4. Tra l’altro Wolf è tutt’ora in servizio, tra un commissario e l’altro.
        Son gente che non muore mai, pare.

      5. Basta! Tornassi indietro nel tempo non perderò anni e anni a studiare Janáček e non sprecherò tempo a proporre inutilmente approfondimenti sulla ripresa video della musica classica: andrò dalla mia prof di teoria e analisi del linguaggio cinetelevisivo dritto e sicuro e le dirò: «professoressa, voglio fare la tesi magistrale sui telefilm polizieschi tedeschi! Titolo: “I vigili urbani di Stoccarda sono assai meglio di Don Matteo!”»

      6. Muahahah, così ci piaci 😉
        Se tornassi indietro magari mi ci dedicherei anch’io, vedi mai che la mia profe di tedesco non diventi più malleabile… per la tesina di maturità, che tale poi non è stata, avevo avanzato ben due temi arci-interessanti (nazismo ed esoterismo & il gioco di ruolo declinato nelle varie materie di studio) ma chissà perché nessuno ha acconsentito.
        La prima volta – testuali parole – mi è stato risposto: “Ma dato che studi tedesco, perché non fai una bella tesina sull’olocausto?”. Ero così ammosciata che non ho nemmeno avuto voglia di redarguire l’Economista Aziendale sull’uso improprio di “olocausto”, mein Gott.

  3. La pensi esattamente come me! Lo vedi che qualcosa non quadra, ti sembra di vedere «Guardia costiera di Amburgo all’attacco!» o altre cose da pomeriggio di Rai2, ma il discorso politico (sotto sotto, e molto sotto), ti dice che stai vedendo idee non brutte!

Commenti

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