Cronache semiserie dal TFF, parte terza (gli “altri film”, ovvero: basta con De Palma)

tff 4Scopriamo subito le carte in tavola: in questo terzo (e ultimo) capitolo delle mie cronache dal TFF 2017 parlerò degli “altri film” visti al Torino Film Festival, esclusi quindi quelli di De Palma di cui ho già ampiamente disquisito nei due precedenti articoli (1, 2). Dunque sarà un post più breve dei precedenti, in cui mi ero dilungato oltremodo (anche a causa del numero di film da trattare, 15 ciascuno, contro i 6 di questo articolo).

Giusto per dare una succulenta anticipazione e decidere se farvi proseguire o meno nella lettura (o per indirizzarvi meglio nello scroll) i sei “altri film” sono:

– due che molto probabilmente usciranno nelle sale nel 2018 (un biopic su Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein, e un thriller politico argentino che è stato uno dei film più apprezzati, tra quelli fuori concorso, del Festival);

– due che difficilmente troveranno una distribuzione in Italia: uno per il probabile scarso appeal per il pubblico italiano (un documentario su Reagan); uno perché troppo sperimentale (un film franco-cileno sul Re di Araucanía e Patagonia);

– due opere “vintage” proposte da Asia Argento (guest director di questo TFF35) nella mini-retrospettiva da lei organizzata nell’ambito del Festival, Amerikana; c’è da dire che a molti la Argento sta simpatica come un dito chiuso nella portiera, ma sui suoi gusti cinematografici non le si può dire niente: le due pellicole che ho visto (delle cinque da lei selezionate), mai distribuite in Italia, si sono rivelate davvero interessanti.

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Ma prima di arrivare a parlare (brevemente) di questi sei film, volevo dire ancora due cose sul Festival.

È stata un’edizione all’insegna dei tagli: il totale dei film è sceso dai 200 dell’anno scorso a 170; un cinema – da tre sale – in meno; via le letterone “TFF” – vedi immagine sopra – perché costavano troppo, ben 15 mila euro.

Eppure l’afflusso di pubblico ha tenuto, anche se c’è stato un calo (dalle 78 mila presenze del 2016 alle 63 mila di quest’anno), che era del resto inevitabile, considerato quanto sopra (soprattutto le tre sale in meno).

Insomma, è un festival che pare in declino e non ci si poteva aspettare altro nell’era della spending review globale (considerato peraltro che al TFF gli incassi per biglietti e abbonamenti ripagano solo di un 10-15% il budget del costo complessivo).

La direttrice del Festival, Emanuela Martini (ottima critica, per carità, ma che sicuramente ha meno visibilità dei suoi predecessori, che furono – dal 2007 al 2013 – Nanni Moretti, Gianni Amelio, Paolo Virzì) ha il mandato in scadenza e l’incertezza sul futuro è totale. Si va incontro a scelte cruciali: un eventuale ulteriore ridimensionamento sacrificherebbe definitivamente la vocazione internazionale del Festival (sempre meno marcata, a dire il vero), facendolo peraltro regredire anche nelle graduatorie dei migliori festival della penisola (ove attualmente invece è ben piazzato).

Certo non aiuta, in tal senso, la decisione – che ho trovato decisamente provinciale – di fare una retrospettiva dedicata ai gatti (con annessa scelta di un’immagine per la locandina ufficiale del Festival tratta dal film Una strega in paradiso, con Kim Novak semicoperta da un felino).

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Vero che quest’anno il Museo del Cinema di Torino ha proposto una mostra incentrata sugli animali nel mondo del cinema (“Bestiale! – Animal Film Stars”), però perché dedicare la retrospettiva solo ai gatti? Pare che il motivo sia: perché piacciono alla direttrice del Festival. Ma cosa c’è di più provinciale (e fantozziano) che dedicare una retrospettiva ai felini perché piacciono al capo?

Detto ciò passiamo all’analisi dei sei “altri film” divisi secondo le tre macro-categorie di cui sopra.

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FILM CHE MOLTO PROBABILMENTE USCIRANNO NELLE SALE NEL 2018

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tff 5Mary Shelley è un biopic interessante, per quanto fortemente didascalico, sulla vita di una delle figure femminili più interessanti del panorama letterario della prima metà dell’Ottocento. Particolarmente stimolante è soprattutto il tema della genesi e dei significati che sottendono alla principale opera della scrittrice, il romanzo neo-gotico Frankenstein. Quella che sembra un’opera antesignana dell’horror moderno è in realtà una metafora di una difficile condizione esistenziale, quella di Mary successiva alla perdita della figlia avuta da Percy Bysshe Shelley, episodio a seguito del quale i rapporti tra i due si deteriorarono per un certo periodo, anche a causa della nefasta influenza esercitata sul ragazzo dal poeta romantico Byron.

E proprio gli intrecci tra queste grandi menti dell’epoca rappresentano uno degli elementi più interessanti del film, con l’eccezionale interpretazione sopra le righe di Lord Byron da parte di Tom Sturridge.

Mary Shelley (2017, USA / Irlanda, 120 min)
Regia: Haifaa al-Mansour
Sceneggiatura: Emma Jensen
Fotografia: David Ungaro
Musiche: Amelia Warner
Interpreti principali: Elle Fanning (Mary Shelley), Douglas Booth (Percy Bysshe Shelley), Bel Powley (Claire Clairmont), Ben Hardy (John William Polidori), Tom Sturridge (Lord Byron)

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tff 6Il thriller politico si fonde con il dramma familiare nell’interessantissimo La cordillera, opera dell’argentino Santiago Mitre, che ha dalla sua un ritmo pressoché perfetto, con l’alternanza dosata magistralmente tra la vicenda politica e il subplot familiare.

La storia è incentrata su un meeting tra i capi di Stato delle nazioni del Sudamerica a cui viene chiamato a partecipare il presidente neo-eletto della Repubblica Argentina Hernán Blanco. Oggetto dell’incontro, che si tiene in una località delle Ande cilene, è la costituzione di un’organizzazione sudamericana per il controllo del mercato del petrolio. Mentre si svolgono intrighi e macchinazioni, il presidente verrà raggiunto dalla figlia Marina, che sta vivendo un duro momento di crisi psico-fisica.

Difficile che quest’opera venga sottratta alla distribuzione internazionale, dopo il passaggio a Cannes (ove era in concorso nella categoria Un certain regard). Le critiche sono infatti state generalmente positive e anche il pubblico (tra cui quello torinese) sembra aver apprezzato un’opera decisamente diversa dalle solite pellicole a tema politico.

Grande merito della riuscita del film va all’attore principale, un Ricardo Darín semplicemente eccezionale nei panni del presidente argentino, di cui emergono vizi e virtù, debolezze e punti di forza, con una recitazione compassata, sobria, impeccabile.

La cordillera (2017, Argentina / Francia / Spagna, 114 min)
Regia: Santiago Mitre
Sceneggiatura: Mariano Llinás, Santiago Mitre
Fotografia: Javier Julia
Musiche: Alberto Iglesias
Interpreti principali: Ricardo Darín (Hernán Blanco), Dolores Fonzi (Marina Blanco), Erica Rivas (Luisa Cordero), Christian Slater (Dereck McKinley)

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FILM CHE QUASI SICURAMENTE NON VERRANNO DISTRIBUITI IN ITALIA

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tff 7The Reagan Show ripercorre, con immagini di archivio, gli otto anni di presidenza di Ronald Reagan, dall’elezione nel 1980 all’uscita definitiva dalla casa bianca nel gennaio del 1989.

L’ex attore divenuto presidente viene mostrato – così come nei film a soggetto in cui recitava – mentre prova discorsi o negli attimi immediatamente precedenti o successivi ai suoi monologhi, in cui era solito elargire giudizi e commenti non esattamente politically correct.

Al centro dei suoi due mandati di presidenza ci sono i rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, all’inizio molto difficili soprattutto per le sue esternazioni che avevano portato a definire la Russia “L’impero del male”. Dai tempi della crisi missilistica di Cuba, gli anni della presidenza di Reagan furono il momento in cui più ci si avvicinò allo spettro del conflitto nucleare tra superpotenze. Nel secondo mandato, e soprattutto dopo l’elezione a segretario generale dell’URSS di Michail Gorbačëv, le due Nazioni si riavvicinarono, fino alla sigla di un accordo sul controllo delle armi atomiche.

Il documentario ha un taglio spesso ironico e la pellicola è nel complesso ben costruita e montata, ma complice la breve durata e il disinteresse degli italiani per questioni storico-politiche, soprattutto se coinvolgono altri Paesi, credo che difficilmente la si vedrà nei cinema della penisola.

The Reagan Show (2017, USA, 74 min)
Regia: Sierra Pettengill, Pacho Velez

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tff 8C’è invece da scommettere che non arriverà nelle sale italiane il Rey di Niles Atallah, classico film da festival, caratterizzato da un forte taglio sperimentale. La trama racconta la storia, realmente accaduta, dell’avvocato francese Orélie-Antoine de Tounens, il quale, trasferitosi in Cile, si avventurò nel sud del Paese con l’intenzione di fondare una colonia francese nella regione dell’Araucanía, a quei tempi sostanzialmente abbandonata, o, per meglio dire, controllata dalla popolazione indigena dei Mapuche.

De Tounens, disconoscendo l’autorità di Cile e Argentina su quei territori, fondò uno stato indipendente noto come Regno di Araucanía e Patagonia, autoproclamandosene monarca, con l’appoggio dei leader indigeni.

Ed il film prende le mosse da tali premesse – raccontate peraltro anche da Bruce Chatwin nel suo romanzo di viaggio In Patagonia – mostrando la prigionia e il processo che l’uomo subì da parte delle autorità cilene ed evocando i fatti su cui esso era incentrato con alcuni flashback.

Il regista imprime all’opera una forte connotazione artistica, che va dal surrealismo al naif, passando (soprattutto nelle sequenze finali) per la pop-art caleidoscopica in stile Andy Warhol.

Rey (2017, Cile / Francia, 91 min)
Regia e Sceneggiatura: Niles Atallah
Intrepreti principali: Rodrigo Lisboa (Orélie-Antoine de Tounens)

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FILM DELLA RETROSPETTIVA “AMERIKANA”, A CURA DI ASIA ARGENTO

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tff 9Out of the Blue è il verso di una canzone di Neil Young, malinconica colonna sonora di questo film drammatico, che costituisce – come sostenne lo stesso regista Dennis Hopper – l’ideale continuazione e chiusura dell’esperienza di Easy Rider. E le date del resto coincidono se si considera che il film del ’69 aveva dato il via alla New Hollywood, mentre questa nuova fatica del regista e attore del Kansas, giungendo nel 1980, l’anno de I cancelli del cielo, arriva proprio nel periodo in cui tramontava la cosiddetta Hollywood Renaissance.

Protagonista del film è una ragazzina scontrosa, costretta, suo malgrado, a crescere più rapidamente di quanto sarebbe opportuno alla sua età, a causa di una famiglia allo sfascio (padre in prigione, madre eroinomane). L’unica via di fuga dalla realtà è costituita dalla sua passione per Elvis e la musica punk, ma ben presto la giovane Cebe finirà in brutti giri e vivrà esperienze devastanti per una teenager. Tutto il film è un climax di dolore e disperazione che si conclude con una drammatica redenzione.

Jack Nicholson definì Out of the Blue un capolavoro, con un giudizio forse un po’ generoso nei confronti del regista che lo aveva diretto in Easy Rider, ma neanche così tanto.

Out of the Blue (1980, Canada, 94 min)
Regia: Dennis Hopper
Sceneggiatura: Leonard Yakir, Brenda Nielson
Fotografia: Marc Champion
Musiche: Tom Lavin
Interpreti principali: Linda Manz (Cindy Barnes “Cebe”), Dennis Hopper (Don), Sharon Farrell (Kathy), Don Gordon (Charlie)

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tff 10Payday racconta alcuni giorni della vita del cantante country Maury Dann, al culmine della celebrità è sempre in giro a fare concerti ed esibizioni. Da inguaribile donnaiolo, non si cura più di tanto del rapporto con Mayleen, la sua compagna, che del resto gli lascia fare un po’ ciò che vuole. E il suo vizio di correre dietro alle sottane gli causerà alcuni guai.

Il canadese Daryl Duke è famoso principalmente per aver diretto nel 1983 la miniserie tv Uccelli di rovo. Ma prima di diventare celebre per tale produzione, il regista aveva girato, negli anni Settanta, tutta una serie di film per la tv e due pellicole per il grande schermo. Payday è la prima delle due, meno celebre della seconda (L’amico sconosciuto, del 1978) ed oggi sostanzialmente introvabile.

Il film si basa pressoché interamente sulla efficace costruzione di un’intensa caratterizzazione del protagonista, il cantante country Maury Dann, interpretato in maniera eccellente da Rip Torn.

Payday (1973, USA, 103’)
Regia: Daryl Duke
Sceneggiatura: Don Carpenter
Fotografia: Richard C. Glouner
Musiche: Ed Bogas
Interpreti principali: Rip Torn (Maury Dann), Ahna Capri (Mayleen Travis), Elayne Heilveil (Rosamond McClintock)

3 pensieri riguardo “Cronache semiserie dal TFF, parte terza (gli “altri film”, ovvero: basta con De Palma)

      1. Grazie a te per la risposta! Colgo l’occasione per dirti che anch’io ho pubblicato un nuovo post… spero che ti piaccia! 🙂

Commenti

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