Cronache semiserie dal TFF, parte seconda (con la top 15 dei film di Brian De Palma del periodo 1983-2012)

brian de palma 13Questa volta sarò breve nell’introduzione, lo prometto. E andremo subito al sodo, ossia alla seconda parte della classifica dei migliori film di Brian De Palma (la top 15 più recente, quella del periodo 1983-2012). Però questi due aneddoti ve li devo raccontare, visto che riguardano un film presente proprio in questa classifica. Entrambi hanno a che fare con il tema dei sottotitoli, di cui peraltro avevo già parlato nella prima parte di queste cronache dedicate al 35° Torino Film Festival. Per uno di questi aneddoti dovrò peraltro abbandonare la pudicizia che mi contraddistingue, ma la cosa andava raccontata, fidatevi.

Il film in questione è The Bonfire of the Vanities (Il falò delle vanità). Forse non tra i più conosciuti di De Palma, ma abbastanza recente e con attori di un certo livello (Tom Hanks, Bruce Willis, Melanie Griffith), tanto da farmi sperare che bene o male ne abbiate quanto meno sentito parlare.

Il primo aneddoto è in realtà più che altro una curiosità legata al modo in cui è stato proiettato questo film al TFF. Quando avevo letto nel programma “finnish subs.” ho pensato ovviamente ad un refuso. Perché dovrebbero proiettare Il falò delle vanità con i sottotitoli in finlandese? E invece, una volta giunto il turno di vedere questo film, ecco apparire per davvero i sottotitoli nella lingua scandinava (che le mie vicine di poltrona hanno scambiato per tedesco, ma quello non era l’unico problema che avevano). Poter dire in giro di aver visto un film in inglese con i sottotitoli in finlandese è una di quelle cose che ti danno un tono da intellettuale d’altri tempi (o che ti fanno travolgere dall’ennesimo sguardo di compassione, a seconda dell’interlocutore). Soprattutto se non menzioni il fatto che c’erano anche i sottotitoli in italiano.

Una di quelle cose che puoi raccontare ai nipotini, se proprio non avrai combinato nient’altro di interessante nella vita.

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Arrivo al secondo aneddoto, quello per cui devo abbandonare la mia abituale pudicizia. Anche qui c’entrano i sottotitoli. Ne Il falò delle vanità Melanie Griffith pronuncia una frase sboccatissima, rivolta al suo amante, interpretato da Tom Hanks: “I’m a Sucker for a Soft Dick”. E per essere sicuri di non farla perdere allo spettatore, la frase in questione viene riproposta addirittura tre volte nel corso della pellicola (perché registrata a tradimento su un nastro – chi ha visto il film dovrebbe ricordarlo).

Lascio a voi la traduzione letterale, precisando che la finezza di questa frase (o, per meglio dire, la “volgare finezza” di questa frase) sta nel fatto che “I’m a sucker for” significa in slang “ho un debole per”, generando dunque un doppio senso decisamente arguto. Questa battuta viene resa, nel doppiaggio in italiano, in modo assolutamente banale ed edulcorato (“io sono brava ad indurire le cose mosce”), mentre molto più ingegnosa (e scurrile al pari dell’originale) è la versione scelta per i sottotitoli italiani: “i cazzi mosci mi fanno venire l’acquolina”.

Vabbè, se non avete smesso di leggere per eccesso di volgarità passo dunque alla seconda top 15 dei film di Brian De Palma.

I MIGLIORI FILM DI BRIAN DE PALMA DEL PERIODO 1983-2012

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  1. Mission to Mars (id., 2000)

Ultimo posto per Mission to Mars, primo e unico film di fantascienza diretto da Brian De Palma. Lo metto per ultimo non perché sia un brutto film, trattandosi di una pellicola magari non memorabile ma onesta e coinvolgente, debitrice – come del resto tutto o quasi il cinema di fantascienza successivo al 1969 – del 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Piuttosto, per il fatto che si tratta di uno spiazzante fuor d’opera nella filmografia del regista italo-americano: Mission to Mars si allontana, infatti, per temi trattati, stile e contenuti, dal resto delle pellicole girate da De Palma (uno che lo vedesse per la prima volta senza sapere chi è il regista difficilmente potrebbe intuirlo). Perdendo la riconoscibilità autoriale il film diventa di fatto una pellicola di genere come molte altre, con il solo apporto tecnicamente eccepibile – as usual – di un De Palma che dà il meglio di sé nelle scene all’interno della nave spaziale in viaggio verso Marte.

  1. Cadaveri e compari (Wise Guys, 1986)

Wise Guys arriva tre anni dopo il successo di Scarface e con esso De Palma propone in sostanza una parodia dei gangster movie, girando una commedia ironica sulla malavita, che ha diverse situazioni spassose. Cadaveri e compari è anche una caricatura delle origini italiane del regista, dato che il protagonista, l’ottimo Danny De Vito (qui ancora relativamente in forma), ricalca lo stereotipo dell’italiano medio, anche da un punto di vista fisico.

È un film divertente e poco più, un simpatico diversivo prima di tornare a girare, soltanto un anno dopo, un film di grosso calibro come The Untouchables – Gli intoccabili.

  1. Omicidio in diretta (Snake Eyes, 1998)

L’ennesimo thriller di De Palma, uscito dopo il successo di Mission: Impossible, è decisamente claustrofobico, vista la sua ambientazione quasi integrale nel casinò di Atlantic City in cui avviene l’incontro di boxe e in cui si consuma l’assassinio del segretario alla difesa, episodio attorno a cui ruota la trama.

De Palma ha sempre il controllo della situazione e nel prologo della pellicola mette in scena un piano sequenza memorabile, della durata di una decina di minuti, in cui Nicolas Cage dà il meglio di sé vagando per i locali in cui si terrà l’incontro di boxe e interagendo con le persone che incontra. L’attore non è tra i miei preferiti – per usare un eufemismo – ma in Snake Eyes, per una buona parte del film (la prima) interpreta alla grande il suo personaggio, salvo poi riscivolare nelle sue solite espressioni inebetite non appena comincia a rivelarsi ai suoi occhi il complotto che sta dietro il delitto. Gary Sinise è invece perfetto nella sua ambiguità.

Snake Eyes è nel complesso un’opera discreta, considerata la sua precipua finalità di entertainment. È forse soltanto un po’ scontata nel finale e forzata nella rappresentazione e nella caratterizzazione del protagonista, pieno di vizi (la corruzione, le scommesse) ma pronto a trasformarsi nell’eroe integerrimo.

  1. Mission: Impossible (id., 1996)

brian de palma 10Film d’azione e spionaggio che ha segnato gli anni Novanta, Mission: Impossible è un’opera non esente da difetti, a partire da una sceneggiatura a tratti pretenziosa. Sono molti gli aspetti della trama che lasciano a desiderare: il film si sposta da un luogo all’altro del pianeta più con l’apparente pretesto di accumulare cartoline che per una reale esigenza collegata allo sviluppo dell’intreccio. Da Praga a Langley, da Londra al tunnel della Manica, con la sequenza finale a bordo del TGV lanciato a tutta. Perché, signori miei, non basta più stare aggrappati ai treni in corsa, bisogna farlo con quelli ad alta velocità.

Eppure, nonostante ciò, il film si fa apprezzare quanto meno per il suo ritmo serratissimo e per alcune sequenze entrate nell’immaginario collettivo: come quella dell’intrusione nella stanza super-protetta che contiene il maxi-computer della CIA, con la memorabile danza nel vuoto di Tom Cruise.

De Palma dirige con mano sicura, aiutato per il resto dagli effetti speciali della Industrial Light & Magic, anche se alcuni aspetti e, soprattutto, oggetti sono col tempo diventati inevitabilmente obsoleti: tutto il film prende le mosse dalla caccia ad un floppy disk e la cosa – ad oltre vent’anni di distanza – fa commuovere non poco.

  1. Black Dahlia (The Black Dahlia, 2006)

De Palma vira decisamente verso i toni e le ambientazioni del noir con quest’opera tratta da un romanzo di James Ellroy, a sua volta ispirato ad un reale fatto di cronaca, noto come il delitto della Dalia nera, rimasto irrisolto (diversamente da quanto avviene nel romanzo e nel film).

Sebbene ricorrano alcuni dei temi cari a De Palma, quello della femme fatale e dell’erotismo, nonché alcune sue peculiari suggestioni stilistiche (la panoramica a 360° durante l’interrogatorio), la pellicola si discosta dai toni e dallo spirito dei precedenti thriller del regista. Un modo per rinnovarsi, dunque, grazie anche alla fotografia ricercata di Vilmos Zsigmond e alle scenografie eccellenti di Dante Ferretti, che riportano lo spettatore indietro nel tempo, nell’immediato secondo dopoguerra californiano.

L’intricata sceneggiatura cerca di confinare nelle due ore scarse di pellicola il romanzo di Ellroy, operazione non semplice. Non ci sono più i noir di una volta, questo è fuor di dubbio, e Josh Hartnett nei panni del detective protagonista è un colpo al cuore per chi è abituato ai vari Bogart, Mitchum e compagnia bella. Eppure l’opera non è da bocciare, svolgendo il suo compito di intrattenimento in modo abbastanza soddisfacente.

  1. Passion (id., 2012)

L’ultimo film di Brian De Palma, in attesa dell’uscita di Domino, è un remake del film francese Crime d’amour diretto, soltanto due anni prima, da Alain Corneau. De Palma ne riscrive la sceneggiatura, spostando le vicende dalla Francia alla Germania e confermando peraltro lo scarso appeal dei remake immediati di film minori, che tentano il successo internazionale dopo aver avuto una distribuzione piuttosto localizzata. In questo caso, peraltro, il film è una coproduzione franco-tedesca, confermando l’ostracismo degli ultimi anni di De Palma dal suo Paese (anche Domino è stato prodotto nel Vecchio Continente).

Il film è comunque piacevole, ben costruito e avvincente, con un saggio mix di onirismo, intrighi e psicologia. Forse ciò che ha decretato lo scarso successo della pellicola (incassi deludenti e critica generalmente negativa) è il fatto che essa somigli troppo ad altre opere del regista, che ripropone per l’ennesima volta il genere del thriller erotico e i temi del voyeurismo e del doppio.

  1. Il falò delle vanità (The Bonfire of the Vanities, 1990)

Basato su un romanzo di Tom Wolfe, Il falò delle vanità è un’opera che coniuga dramma e commedia in un mix ben riuscito affidato alla solida regia di un De Palma ormai alle porte dei cinquant’anni e dunque pienamente maturo. È un’opera forse un po’ pretenziosa, ma che non sembra meritare le critiche ricevute, che probabilmente hanno influito sull’insuccesso di pubblico.

Il tema centrale è quello dell’inganno e dell’ipocrisia: politica, moralistica, religiosa. Due personaggi sono fondamentali in tal senso: il procuratore Weiss – che vuole gettare in pasto all’opinione pubblica un bianco che conta, per mostrare la sua equità e dunque ottenere i voti dell’elettorato afroamericano – e il reverendo Bacon, che sfrutta l’omicidio di un ragazzo di colore, che in realtà era un poco di buono, per lanciare i suoi strali vittimistici (e al contempo cercare di arricchirsi).

Ma il film è anche una critica al mondo dei media e alla tendenza a crocifiggere in anticipo veri o presunti colpevoli. Il personaggio interpretato da Bruce Willis, il giornalista che prima inguaia e poi toglie dai pasticci il protagonista (Tom Hanks), rappresenta l’ambiguità dei media, la tensione tra il sensazionalismo e l’etica.

  1. Femme fatale (id., 2002)

brian de palma 11Quella di Femme Fatale è sicuramente tra le sceneggiature più intricate dei film di De Palma, scritta dallo stesso regista, che torna ad occuparsi di un genere che lo ha reso celebre, il thriller a sfondo erotico. L’incipit della pellicola è in realtà un heist movie alla Mission: Impossible, ma la faccenda del furto dura pochi minuti (sebbene intensi) entrando poi la storia in una spirale di inganni e ricatti, con un colpo di scena eccezionale che sposta mezza storia in una dimensione onirica totalmente inattesa.

Per il resto, De Palma si affida alle grazie della modella americana di origine olandese Rebecca Romijn, che mette in mostra spesso e volentieri il suo corpo e si cimenta in una serie di scene ad alto tasso di erotismo. Accanto a lei un Antonio Banderas non al massimo della forma fisica, ma capace di una recitazione che regala anche qualche tocco di humour.

Ma la cosa che fa più notizia è il fatto che, per farsi produrre questo intricato thriller, un grande nome come Brian De Palma si sia dovuto rivolgere alla vecchia Europa, trovando finanziamenti soltanto in Francia e Svizzera, ed inaugurando una tendenza che si confermerà in Passion e Domino.

  1. Vittime di guerra (Casualties of War, 1989)

Con Casualties of War anche Brian De Palma si aggiunge all’elenco di registi celebri che si sono confrontati con il Vietnam. Ma il Vietnam sul grande schermo aveva già detto molto di quello che c’era da dire (c’erano già stati, in era New Hollywood, Il cacciatore di Cimino e Apocalypse Now di Coppola, nonché, successivamente, Platoon di Oliver Stone e Full Metal Jacket di Kubrick). Arrivando dunque in ritardo rispetto ai suoi colleghi, De Palma sceglie di concentrarsi su una questione morale, ispirata ad una storia vera: il rapimento, lo stupro e il successivo omicidio di una giovane inerme vietnamita da parte di alcuni soldati americani.

Il regista denuncia gli orrori della guerra, ma anche il cinismo degli ufficiali che tendono a insabbiare episodi scellerati come quello raccontato nella pellicola.

Buona prova di Michael J. Fox, ma soprattutto di Sean Penn, nei panni del sergente che perde la bussola e si rende colpevole di un vero e proprio crimine di guerra.

  1. Doppia personalità (Raising Cain, 1992)

Ancora un thriller per De Palma, ancora il tema del doppio, che in realtà qui sottende a una molteplicità di personalità più che a due soltanto (nonostante quanto si possa desumere dal titolo in italiano, che è – come al solito – tradotto in maniera approssimativa).

John Lithgow interpreta Carter, Caino, Josh e Margo, le quattro personalità che affollano un’unica mente turbata, quella di un uomo traumatizzato da bambino da un padre (il dottor Nix, interpretato dallo stesso attore), che aveva sperimentato sul figlio le sue assurde teorie educative.

Lithgow (che per De Palma aveva già recitato in Obsession e in Blow Out) ottiene qui il ruolo da protagonista e la sua performance è assolutamente degna di nota.

Raising Cain è un film ingiustamente sottovalutato, come molti di quelli di De Palma, che funziona sia sotto il profilo dell’intrattenimento, sia in alcune trovate stilistiche.

  1. Carlito’s Way (id., 1993)

Carlito’s Way è una pellicola di grande successo nonostante la linearità di una pur buona sceneggiatura. Il mega flashback iniziale, con un prologo che già rivela la brutta fine che Carlito Brigante farà dopo quasi due ore e mezza di pellicola, è insieme una scelta potenzialmente criticabile ma anche per certi versi interessante, perché rende l’intero film una visione compassionevole, come se assistessimo alla via crucis del protagonista.

Su Al Pacino non ci si può esimere dal solito profluvio di lodi per quello che è uno dei più grandi attori di tutti i tempi, qui in una forma strepitosa nel ruolo dell’ex gangster redento, uscito dal carcere per un cavillo, ma pronto ad abbandonare, pare con convinzione, il nefasto stile di vita del passato. Un’impresa che si rivelerà durissima: la propensione a cacciarsi nei guai, tipica di chi è nato e cresciuto sulle strade dei quartieri più difficili della Grande Mela, è innata e non può essere cambiata a comando.

La vera sorpresa è un irriconoscibile Sean Penn, che interpreta il ruolo del coprotagonista, un cinico e schizofrenico avvocato ebreo, cocainomane e assetato di potere, doppiogiochista e senza una coscienza.

Una storia d’amore sufficientemente credibile – e per una volta non gettata nel calderone per questioni di cinemarketing – si conclude nel peggiore dei modi.

Ma questo lo sapevamo fin dall’inizio…

  1. The Untouchables – Gli intoccabili (The Untouchables, 1987)

brian de palma 12Un film memorabile per ritmo, sceneggiatura, fotografia. Un cast di primo piano (a Kevin Costner basta solo trovare il ruolo giusto), assecondato splendidamente dal gotha dei doppiatori italiani (in un colpo solo: Sergio Di Stefano, Pino Locchi, Ferruccio Amendola, Francesco Pannofino, Massimo Giuliani). Osservazione che fa capire come purtroppo questo non sia uno dei film che sono riuscito a rivedere in lingua originale al TFF.

Una colonna sonora forse non tra le più famose composte dal Maestro Morricone, ma di certo calzante. De Palma cita Ėjzenštejn (scena della carrozzina sulla scalinata), stanco forse di richiamarsi a Hitchcock che era stato ispirazione per molte delle sue opere precedenti.

Gli intoccabili è un film che si guarda e riguarda sempre volentieri, anche soltanto per vedere De Niro urlare la mitica frase Sei solo chiacchiere e distintivo! in faccia a Kevin Costner.

  1. Redacted (id., 2007)

A circa vent’anni da Casualties of War, Brian De Palma torna a dirigere un film di guerra. Questa volta ne scrive anche la sceneggiatura, basata su un fatto di cronaca realmente accaduto (un gruppo di soldati americani stuprano una ragazzina irachena di quindici anni, uccidendo poi lei e il resto della sua famiglia). Le vicende sono dunque molto simili a quelle descritte in Vittime di guerra: sembra quasi che si parli dello stesso film, uno ambientato in Vietnam, l’altro in Iraq. Ciò può del resto avere un significato morale ben preciso: gli anni passano e i crimini di guerra vengono denunciati, ma ciò nonostante fatti del genere continuano ad accadere.

I balzi in avanti compiuti dalla tecnologia fanno sì che nelle guerre di oggi i soldati si portino dietro videocamere e telefonini per documentare i loro giorni sotto le armi (De Palma consultò proprio i video postati sui social network). Questo particolare permette al regista di cimentarsi con uno dei suoi cavalli di battaglia, il metacinema: sia nella sua versione amatoriale (i video dei soldati), sia in quella più professionale del mockumentary, che descrive, soprattutto nella prima parte, le insidie e le angosce dei soldati che prestano servizio ai checkpoint. Ma il metacinema è anche nei finti reportage della tv locale e nelle telecamere a circuito chiuso che riprendono i dialoghi tra commilitoni.

Un po’ come Dionisio nel ’69 aveva usato per tutta la durata della pellicola lo split screen, in Redacted De Palma sceglie di filmare praticamente tutta la pellicola per interposta persona. Un’idea interessante, che gli varrà il premio per la miglior regia, Leone d’Argento, alla 64ª Mostra del Cinema di Venezia.

  1. Omicidio a luci rosse (Body Double, 1984)

Body double è probabilmente il thriller più hitchcockiano tra quelli girati da Brian De Palma. In esso rivivono infatti almeno due capolavori del maestro della suspense, La finestra sul cortile e Vertigo – La donna che visse due volte (ma la trama strizza l’occhio anche a Il delitto perfetto – Dial M for Murder). Oltre ai richiami ai capolavori del maestro dichiarato del regista, in questa pellicola si trovano in generale tutti i leitmotiv del cinema di De Palma: il voyeurismo, l’erotismo, il tema del doppio (Body Double, altro titolo pessimamente tradotto dalla distribuzione italiana, significa del resto controfigura).

Un’opera dunque citazionista anche e soprattutto delle stesse precedenti pellicole del regista italoamericano: si intravvedono, infatti, elementi di Phantom of the Paradise, di Obsession e di Dressed to Kill (il finale è un richiamo metacinematografico alle polemiche per l’utilizzo di una controfigura per Angie Dickinson in Vestito per uccidere). Ma De Palma non si nega nemmeno un tocco di humour (che diventa una sorta di autoironia), soprattutto con la sua incursione nel mondo della pornografia californiana, con alcune sequenze assolutamente cult (tra cui, in primis, quella in cui il protagonista recita in un film porno, nella parte del voyeur sfigato, sulle note “live” di Relax dei Frankie Goes to Hollywood).

E sono proprio questi richiami al porno, al gore/splatter, nonché all’horror (il film nel film che apre e chiude la pellicola), a rendere Body Double un’opera interessantissima per la sua capacità di fondere i film di serie b / z / xxx con il cinema autoriale.

  1. Scarface (id., 1983)

Quando tre come Brian De Palma, Oliver Stone e Al Pacino si incontrano, il risultato non può che essere qualcosa di straordinario.

Stone aveva già vinto un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per il film Fuga di mezzanotte e anche in questo caso si cimenta con un soggetto almeno in parte non originale, in quanto la pellicola è generalmente considerata un remake del film del 1932 Scarface – Lo sfregiato, di Howard Hawks, uno dei capolavori del gangster movie anni Trenta. Rispetto al film di Hawks, in realtà, la storia è ben diversa, essendo quest’ultimo ambientato nella Chicago del proibizionismo, mentre le vicende del film di De Palma si svolgono nella Miami degli anni Ottanta (un’idea che ebbe Sidney Lumet, che poi rifiutò di girare il film perché ritenne troppo violenta la sceneggiatura). Cambia anche il nome del personaggio, che da Tony Camonte diventa Tony Montana: se il primo era decisamente in linea con il vero Scarface, il gangster Al Capone che aveva ispirato la storia originale, nel film di De Palma Montana è un criminale cubano che dopo una breve gavetta arriva a comandare il giro del traffico di droga proveniente dal Sudamerica.

Scarface è un film iper-violento e oltremodo sboccato: la parola “fuck” (e relativi derivati) viene usata per oltre 200 volte (un po’ meno nella versione in italiano, che oltre ad alcuni ammorbidimenti nei dialoghi ha subito anche alcuni tagli da parte della censura). Un record assoluto per l’epoca, nonché uno dei motivi che impongono la visione del film in lingua originale, oltre a quello di poter apprezzare in toto la performance di Al Pacino. Senza nulla togliere al grande Ferruccio Amendola, l’attore italo-americano è davvero eccezionale con la sua cadenza trascinata e la voce roca.

Se Pacino è strepitoso, eccellente è anche l’interpretazione di Michelle Pfeiffer, irresistibile femme fatale della pellicola, che non ha bisogno di scoprire troppi centimetri di pelle per mostrare la sua trascinante sensualità.

Scarface è un film epico, uno dei migliori gangster movie di sempre e sicuramente uno dei migliori tra quelli che si discostano dal cliché del protagonista italo-americano.

kinopoisk.ru

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4 pensieri riguardo “Cronache semiserie dal TFF, parte seconda (con la top 15 dei film di Brian De Palma del periodo 1983-2012)

  1. Quasi come il film cecoslovacco con i sottotitoli in tedesco…
    le due tizie che scambiano il finlandese con il tedesco saranno per caso le due studentesse di lingue che in coda per Les Affamés erano contente di vedere finalmente un film in lingua originale inglese?
    belli i festival: è come andare all’ikea, solo che vedi i film.
    mi permetto di segnalare il documentario su De Palma di Noah Baumbach. notevole.
    ciao, Vince’.

    1. Già, il film cecoslovacco😀😀
      Anche quello su Les affamés è un bell’aneddoto e il paragone con l’ikea ci sta tutto, soprattutto quando sei in coda ne senti di ogni…
      Conoscevo il documentario ma non l’ho ancora visto. Però dopo questa full immersion direi che è giunta l’ora di guardarlo.
      Grazie per il commento, ciao Giampiero!

  2. Grande, Scarface al primo posto! Amo quel film, vuol dire che per quel poco che conosco di De Palma ho azzeccato subito il colpo più grosso 🙂 La scena del ristorante è da cineteca

    1. sì, grandissimo Scarface, ma devo dire che è stata una lotta fino all’ultimo con Body Double, che è il film più depalmiano nonché quello più hitchcockiano di De Palma…
      in Body Double ci sono tutti i temi a lui più cari, c’è l’ironia che spesso lo contraddistingue, c’è tanto Hitchcock… è un film eccezionale, che ho apprezzato ancor di più dopo averlo contestualizzato in questa full immersion nella sua filmografia…
      Scarface è eccezionale, ma per l’appunto oltre al tocco di De Palma c’è quello di Oliver Stone (autore della sceneggiatura, su un soggetto in parte ideato da Sidney Lumet, che se non si fosse tirato indietro avrebbe diretto lui il film)… e c’è il tocco di Pacino, che in quegli anni era al top (ma mi viene da dire: quando non è stato al top Pacino?)…
      quindi Body Double è un film completamente di De Palma, mentre Scarface è un incontro tra tre grandi nomi del cinema americano… per questo è stata durissima la scelta, ma alla fine ho deciso di far prevalere la quasi perfezione di un film come quello con protagonista il “buon” Tony Montana…

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