Speciale Oscar 2018: Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh

threebillboards_locandinaChe fosse una delle più grandi attrici dei giorni nostri lo sapevamo già, ma che riuscisse perfino a superare sè stessa con una interpretazione di questo spessore beh, forse non lo si riteneva possibile.  Pareva assodato che il ruolo di Marge, dolce e sagace poliziotta incinta in Fargo dei Coen, che le valse l’Oscar vent’anni fa, fosse per Frances McDormand il punto più alto mai raggiunto in una carriera comunque sempre ad altissimi livelli. Ci voleva l’irlandese un po’ cattivello, uno che gioca scorretto, uno proprio come Martin McDonagh per buttar giù a spallate ogni certezza; in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, appena iridato ai Golden Globes e tra i favoriti per l’Oscar a miglior film, il talentuoso regista dei già ammirevoli In Bruges e 7 psicopatici è riuscito a cucire addosso alla McDormand il ruolo della vita.

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Una storia del profondo sud, più mentale che geografico dato che il Missouri sta nel cuore caldo degli USA, scritta da McDonagh con quel bel taglio indipendente Blueprint Pictures che fa del film un “finto piccolo” (12 mln di USD non sono proprio noccioline), ci racconta di una donna sola che ha appena perduto la figlia, stuprata e uccisa da ignoti. Dura, cocciuta e determinata a trovare giustizia, Mildred affitterà tre cartelloni pubblicitari in una strada poco battuta mediante i quali chiederà allo sceriffo locale con tre scritte minimali, in maniera diretta e pungente, di muovere le chiappe per trovare il colpevole. L’assunto di base, semplice e geniale, creerà un prevedibile smottamento nella tranquilla e ipocrita comunità di Ebbing, molto affezionata al bonario sceriffo Willoughby, interpretato dal sempre magnifico Woody Harrelson. Testone lustro e ogivale, nasone imponente e sguardo dolce, Harrelson fornisce una prova all’altezza della sua diretta antagonista; il suo personaggio è frutto di un’ottima intuizione in scrittura, in quanto non si presenta come lo stereotipico bifolco razzista ma come un buon padre di famiglia, certamente non istruito nè di larghissime vedute, però sincero, cordiale e soprattutto – qui risiede l’intuizione più ficcante – malato terminale. Tutti lo sanno, nessuno lo dice: lo sceriffo ha un cancro e sta morendo. E Mildred osa macchiare con i suoi tre manifesti l’onorata carriera di un brav’uomo al capolinea? Oh sì, osa farlo, lo fa eccome. Contro tutto e contro tutti. Difendendosi a muso duro e calci nelle palle, se necessario.

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Ecco dove arriva l’interpretazione della McDormand: nelle pieghe più difficili da raggiungere del ragionevole, dell’eticamente accettabile. Non è un blocco di marmo, la vediamo crollare in pianto più volte; nutre perfino una certa simpatia per Willoughby, ma non retrocede di un millimetro. Non è mai stata una madre perfetta, lo vediamo nel flashback con la figlia ribelle o nel rapporto con l’altro figlio Robbie interpretato dall’ottimo Lucas Hedges (consacrato nel ruolo del bravo ragazzo con famiglia disastrata dopo Manchester by the sea); è una donna problematica, scolpita e forgiata nell’essenzialità di una vita da sud, dal quale si è però affrancata. Non condivide le pulsioni razziste dell’assistente sceriffo Dixon, un memorabile Sam Rockwell che darà filo da torcere alla concorrenza per l’Oscar al miglior attore non protagonista, anche se in fondo è della stessa pasta; la trasformazione del loro rapporto, da conflittuale a complice, sarà uno dei punti più interessanti della storia. Fino a quel finale, che ovviamente non vi sto a spoilerare, ma che effettivamente lascia un po’ di amaro in bocca; io ho avuto l’impressione che McDonagh, partendo dagli ottimi presupposti di scuotere un po’ lo spettatore dai risvolti più canonici, si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano. Per cui: o ci sarà un secondo Tre manifesti, oppure il regista dopo aver tirato su un vero e proprio capolavoro, se lo brucia negli ultimi minuti come ha fatto Nerone con Roma.

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Cosa c’è di fondamentalmente grande nel film di McDonagh. Che si tratta finalmente di un film dove tutto ciò che sta attorno alla storia è esclusivamente di supporto alla stessa. Nulla da dire sulla fotografia di Ben Davis, per carità, luminosa e semplice; niente da eccepire sulla colonna sonora di Carter Burwell, nè su montaggio, scenografie e quant’altro. Ma l’impressione è che tutto questo danzi attorno al fulcro dominante e centripeto della storia raccontata, senza protagonismi di scorta. Ciò che davvero sorprende è il talento inventivo e registico di McDonagh, che sa essere brutale e ironico, crudelmente divertente e perfettamente immerso nell’atmosfera gretta del piccolo mondo sudista. Se c’è da sputtanare negri, nani, froci lo si fa senza oliare nulla, e soprattutto senza ammorbidire con le note rivincite dei perdenti. Il perdente perde. Una lezione dura da buttar giù, in un mondo sempre edulcorato come il cinema, particolarmente quello di Hollywood. Ma se guardiamo ad esempio al cameo di Peter Dinklage e alla sua patetica uscita di scena, sentiamo che il cuore ci si sbriciola, che ci “manca un pezzo”, ci rendiamo conto che la fiaba è tradita nei suoi canoni più rassicuranti. Coraggioso e tremendo McDonagh, forse pure troppo (il finale, il finale perdio!); questo film post-coeniano non potrà passare senza lasciare il segno.

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Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (2017, UK/USA, 115 min)

Regia e sceneggiatura: Martin McDonagh

Fotografia: Ben Davis

Musiche: Carter Burwell

Interpreti principali: Frances McDormand (Mildred Hayes), Woody Harrelson (sceriffo Willoughby), Sam Rockwell (agente Dixon), Lucas Hedges (Robbie Hayes), Peter Dinklage (James), John Hawkes (Charlie Hayes)

15 pensieri riguardo “Speciale Oscar 2018: Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh

      1. Ho letto recensioni entusiastiche sul film, poi c’è quel fenomeno di Frances McDormand… incrocio le dita 🤞🤞

  1. McDonagh si coferma uno con un’idea di cinema chiarissima, equilibrista dei generi bravissimo a tradire le aspettative del pubblico per portare la storia dove vuole lui, qui ad esempio, in territori molto realistici. Un film che mi è piaciuto molto, costruito su tre attori fenomenali e personaggi che non cercano per forza di apparire belli bravi e giusti al pubblico, Harrelson bravissimo sembra quasi l’arbitro tra un enorme Rockwell ed una Frances McDormand che farebbe bene a fare posto sullo mensola, quest’anno secondo me va il bis con l’Oscar. Gran film e ottimo analisi complimenti 😉 Cheers!

  2. Torno a leggere quando avrò visto il film, che non posso perdere!!! Frances McDormand è sempre bravissima. Avete visto il long movie tratto dal libro Olive Kitteridge, che lei ha fortemente voluto (comprando i diritti) e interpretato? Un personaggio femminile antipatico e quasi piatto, difficilissimo. Ma lei è strepitosa…

    1. No non l’ho visto e mi manca pure il libro! Devo recuperare 😛
      Comunque la McDormand è sicuramente una delle mie attrici preferite; magnifica anche in Shortcuts di Altman e Almost famous di Crowe, dove riveste sempre i panni della madre problematica

      1. L’ho visto. E mi è piaciuto. Anche il finale. Anzi, il finale lo trovo perfettamente in linea con il resto… come mai a te non è piaciuto? (Qui siamo nei commenti, un po’ di spoiler ci può stare). Non so se dedicargli un post anch’io (certo molto meno esperto del tuo…). Perché mi colpisce sempre quando un regista decide di dedicare un intero film a un personaggio negativo e ignorante. Ogni volta mi chiedo perché lo abbia fatto. Cos’ha da insegnarci questo film? A fare attenzione a non affezionarci a certi personaggi? Ad allenarci a non identificarci sempre e comunque? A capire, se già non l’avessimo fatto, che il mondo è popolato per lo più da gente di quel tipo? A scoprire che se anche hai la fortuna di avere un buon cervello, nascere in certi contesti ti lascerà senza strumenti e ti ridurrà al silenzio? Al punto da non capire più la differenza tra giusto e sbagliato?

      2. Non mi è piaciuta la scelta di presentare un personaggio come il tizio che spacca coniglietti di porcellana e denti agli avventori, per poi farlo inghiottire nel nulla. È secondo me un azzardo nello story-telling

  3. A me non è piaciuto affatto. Certo, Frances Mc Dormand è grande, ma la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti: il malato terminale, il vice sceriffo che diventa improvvisamente buono, il ragazzo che si è fatto quasi ammazzare che in ospedale fa il buono con il responsabile del suo pestaggio…

    1. Comprendo il tuo punto di vista; sembra che laddove ci dovrebbe essere un po’ di cattiveria, McDonagh innaffi con sentimentalismo, mentre laddove ci dovrebbe essere edulcorazione narrativa, MacDonagh lascia il sapore amaro del realismo. Più ci penso e più vedo il ragionamento che sta dietro questa storia; e ti dirò, mi piace questo scombinamento 🙂 Magari rivedendolo rivaluto pure il finale, vai a sapere…

  4. Recuperato in ritardo, ma in tempo per la notte degli Oscar… Beh se devo essere onesto, tra i film in corsa per l’Oscar al miglior film che ho visto sinora (premesso che me ne mancano tre) è l’unico per cui posso spendere un giudizio di capolavoro o quasi tale… è a mio avviso un affresco straordinario dell’America rurale ma il suo maggior pregio è quello di essere riuscito ad affrontare così tanti temi spinosi (il razzismo, le violenze domestiche, la società violenta, l’educazione familiare, le malattie terminali, gli abusi della polizia, ecc.) in un solo film ma senza che nessuno di questi temi sembri affrontato in maniera superficiale, anzi… e poi la McDormand: straordinaria, ho voluto vederlo in lingua originale per gustarmi in pieno la sua prova ed è stata un’ottima decisione…

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